Cinema

locandinagb  locandina2
Giordano Bruno
cast: Gian Maria Volontè – Hans-Christian Blech – Mathieu Carrière – Charlotte Rampling – Renato Scarpa – Mark Burns – Corrado Gaipa – Massimo Foschi  José Quaglio – Angelo Guglielmi
musica: Ennio Morricone
regia: Giuliano Montaldo (1973)
soggetto e sceneggiatura: Giuliano Montaldo, Lucio de Caro, Piergiovanni Anchis
fotografia: Vittorio Storaro
produzione: Italia/Francia Carlo Ponti

Trama: Il film narra gli ultimi anni della vita del filosofo Giordano Bruno(1548-1600), dal 1592 al 1600. A Venezia Giordano Bruno prende motivo da una processione commemorativa della vittoria di Lepanto per condannare una religione che fa uso della violenza. Fra amici e poi con l’amante nuda espone le sue idee filosofiche nutrite di panteismo e il suo concetto di una duplice religione: una fatta per il popolo, l’altra che è liberazione e superamento, riservata ad uomini superiori. Giovanni Mocenigo, suo ospite, è spaventato da questo ex frate spregiudicato di linguaggi e costumi, più spesso ubriaco che sobrio, e lo denuncia all’inquisizione. Rivestito l’abito domenicano, Giordano Bruno affronta fieramente gli interrogatori e nonostante l’opposizione del Patriarca è trasferito a Roma. Quivi ha modo di sostenere le due idee: la verità e la scienza contro la Chiesa, il culto della religione contro le religioni, presenza di Dio in ogni particella della materia, rifiuto dei dogmi fondamentali del cristianesimo. Nonostante le umane prese di posizione di Clemente VIII e del cardinale Bellarmino (con il quale ha un lungo colloquio), Giordano Bruno viene torturato, terrorizzato, ridotto ad espressioni blasfeme nella sua esasperazione. Il 17 febbraio 1600 muore sul rogo.


film1

COMMENTO AL FILM (di Davide Tofani)

Il 23 Maggio 1592 Giordano Bruno viene consegnato all’inquisizione veneta e incarcerato a San Domenico di Castello. Da quel momento inizia per il filosofo una dura battaglia legale che durerà fino alla sua esecuzione avvenuta nel 1600. Sono gli anni presi in considerazione dal bel film di Giuliano Montaldo, gli anni di lotta contro la Chiesa del tempo.

L’8 febbraio 1600 viene letta a Bruno la sentenza di condanna che non ci resta se non in una copia mutila.

Le imputazioni a suo carico furono ben trenta e tra le più gravi, come ci suggerisce il film, si devono elencare: la negazione della transustanziazione, l’aver negato la verginità di Maria, l’aver scritto lo Spaccio contro il Papa, l’aver vissuto in paesi eretici senza frequentare regolarmente le messe, l’aver sostenuto l’esistenza di mondi innumerevoli, la metempsicosi, che Cristo fu mago e non crocifisso ma impiccato, che la Bibbia è un libro di favole, che prima di Adamo sono esistiti i pre-adamiti. All’alba del 17 febbraio legato con un morso nella bocca che gli blocca la lingua per non farlo bestemmiare, è portato a Campo de Fiori, a Roma, denudato, legato a un palo e arso vivo. Una statua eretta al centro della famosa piazza ne ricorda e ne suggella la memoria nei secoli. Naturalmente il film di Montaldo, uno dei pochissimi sulla figura del grande filosofo di Nola, esemplifica per ovvie esigenze cinematografiche la visione speculativa, ma l’interpretazione di Volonté vale da sola la visione di una pellicola riconosciuta dalla critica davvero valida. Nel film di Montaldo è chiaro il tentativo di attualizzare le eresie di Bruno; le sue argomentazioni sono infatti puramente filosofiche: negare l’infinità dell’universo, ad esempio, significa in sostanza negare l’infinità di Dio. Dal film appare evidente però il dibattito che ruota ancora oggi intorno alla figura del filosofo che si concentra sulla valutazione della potenziale modernità del suo pensiero e, di contro, sulla sua concezione del mondo legata ancora saldamente alla magia.

Il grande merito di Montaldo, però, è quello di aver evidenziato la grande sensibilità dell’uomo prima che del filosofo, apportatore di concreti problemi che si porranno all’attenzione dell’intellighenzia europea un secolo dopo con l’Illuminismo. Bisogna anche ricordare che tra gli eretici che compaiono nel film c’è anche Angelo Guglielmi, critico letterario e futuro direttore di Rai 3.

La fotografia è di Vincenzo Storaro e le musiche di Ennio Morricone.
Per concludere da segnalare è l’interpretazione di Charlotte Rampling che, grazie a questo film, ha fatto gioire molti suoi fan.


film2

COMMENTO AL FILM (di Lino Miccichè) Cinema italiano degli anni ’70

Narra la tragedia greca che Atteone, educato alle virtù venatorie dal centauro Chirone, recandosi un giorno a caccia con una muta di 50 cani, sorprese e contemplò a lungo ignuda la dea Diana restandone per punizione trasformato in cervo e venendo quindi “cacciato” e poi divorato dai propri stessi cani. In De gli eroici furori, un’opera in volgare scritta a 37 anni, Giordano Bruno reinterpreta l’antico mito come un’allegoria dell’avventura conoscitiva dell’uomo che, cercando la Natura, simulacro corporeo di Dio nel conoscerla vi si identifica raggiungendo il massimo grado dell’ascesi: la trasformazione della realtà in se stesso nella realtà e della realtà in se stesso: al culmine, cioè, di questa lunga battaglia per la conoscenza, cui si è spinto da un “eroico furore”, l’uomo raggiunge “il fonte de tutti li numeri, de tutte specie, de tutte ragioni, che è la monade, vera essenza dell’essere, de tutti”; e fissando “l’occhio de l’eternitade” supera la propria contingente esistenza accettando, come una farfalla verso la luce, di dissolversi, riconoscendovisi, nell’infinità del tutto.Se credessimo alla preveggenza, potremmo dire che nel 1585, vagando tra la corte inglese di Elisabetta e quella francese di Enrico III, Giordano Bruno previde le ragioni della propria morte, avvenuta quindici anni dopo, a Roma, a conclusione di sette anni di prigione e di pratiche processuali e dopo che il filosofo nolano aveva sdegnosamente rifiutato alla Santa Inquisizione ogni abiura delle proprie teorie e dei propri scritti. La realtà, né magica né mitica, è che tra il 1580 e il 1590 – il decennio durante il quale videro la luce la maggior parte delle didattiche letterarie, scientifico-matematiche e filosofico-morali di Bruno- l’ex frate domenicano andò delineando, forse più ancora che una filosofia, le basi teoriche e le indicazioni morali di una pratica esistenziale caratterizzata da una dionisiaca vitalità conoscitiva e da una febbricitante religione della natura. Se dunque come filosofo egli si caratterizzò – e tuttora occupa un posto rilevante nella storia della filosofia – per una fiera polemica antiaristotelica e una scelta, invece, neoplatonica, che esclusero tuttavia un culto del trascendente ed ebbero forti accentuazioni panteistiche, fino a sfiorare vere e proprie posizioni materialistiche (egli accettò dal neoplatonismo il concetto dell’inconoscibilità di Dio identificandone però nella Natura l’essenza oggettiva e la virtù), come intellettuale e come uomo, testimoniò con lucido ed esemplare coraggio l’autonomia del pensiero davanti al potere e la coerenza di un progetto morale vissuto anche, e fino in fondo, come progetto esistenziale. In questo senso, e anche oltre i limiti della sua ricerca, Giordano Bruno è tra i maggiori “eroi del pensiero” dell’evo moderno.

Una figura per certi versi paragonabile quanto ad esemplarità a quella di Socrate nell’evo antico.Tuttavia la piena comprensione di tale eroismo e della sua tuttora attuale esemplarità non può venire evidenziata separando in due distinti momenti l’attività speculativa di Bruno e la sua disavventura politica-religiosa e, vedendo l’unità di questi due aspetti, unicamente nel rogo conclusivo su cui ambedue finirono; ma soltanto invece considerando come profondamente compenetrati ed inseparabili i due momenti, poiché la grandezza di Bruno consiste nell’averli vissuti ambedue integralmente, l’uno come ragione dell’altro. Sfuggirebbe altrimenti, se commettessimo l’errore di separarli, che la peculiarità della morte che Bruno scelse pur potendola evitare, sta nel fatto che morendo per un’astratta questione di principio egli la rese concreta; e soprattutto che, se la storia dell’umanità, dal cristianesimo primitivo alla resistenza, è piena di uomini che seppero morire per testimoniare la propria fedeltà ad un ideale comune ad altri uomini, il caso di Giordano Bruno, è particolarmente eccezionale perché egli seppe morire in assoluta solitudine per un ideale che era soltanto suo, esemplificando quindi una coerenza con se stesso ed un rigore incomparabilmente assoluti.Quanto dicevo sopra va tenuto in qualche modo presente di fronte al film Giordano Bruno del regista Giuliano Montaldo. In Giordano Bruno ha inteso evidentemente proseguire sulla strada di un cinema civile, capace di comunicare allo spettatore con l’esempio di ieri, una maggiore coscienza dell’oggi.

Dirò che il Giordano Bruno di Montaldo mi sembra in questo senso un film incontestabilmente utile. E non soltanto per la divulgazione che esso è destinato a compiere di una vicenda storica conosciuta dai più per sommi capi; ma anche perché di quella vicenda vengono sufficientemente messe in luce e sottolineate, se non tutte le ragioni, almeno alcune: quelle fondamentali per darne un giudizio di massima e collocarla tra le pagine più vergognose della storia.Tuttavia il film è in buona parte caratterizzato proprio da quella mancata compenetrazione tra i due aspetti della figura di Bruno cui facevo più sopra accenno.

Mi rendo certamente conto che fare un film su un filosofo è compito improbo e che, forse più improbo ancora, è fare un film su un filosofo che afferma la grandezza della propria ricerca morendo per essa. Va certamente dato atto a Montaldo di avere frenato al massimo la banalizzazione del tutto in mero spettacolo, cercando in tutta la prima parte di costruire una dialettica presentazione del personaggio, mediante una struttura ad incastro, linguisticamente assai mossa e fin troppo ricca di materiale.

Rimane il dubbio che questo film, pur utile e dignitoso e destinato probabilmente a restare tra i più apprezzabili di questo scorcio di stagione, risulti sotto certi aspetti eccessivamente allusivo per quanti già conoscono la materia e ed eccessivamente cifrato per quanti non la conoscono. E che, insomma, non sia del tutto agevole cogliere in esso che Bruno scelse la morte con “eroico furore” nella certezza che quello era il prezzo per identificarsi con la verità in coerenza con quanto quindici anni prima aveva scritto: “Quei furori de quali noi raggioniamo e che veggiamo messi in execuzione in queste sentenze, non sono oblio, ma una memoria: non son negligenze di se stesso, ma amori e brame del bello e del buono con cui di procura farsi con trasformarsi ed assomigliarsi a quello”.

(2 dicembre 1973)


gm

NOTE BIOGRAFICHE DEL REGISTA

Giuliano Montaldo nasce nel 1930 a Genova. È ancora un giovane studente quando nel 1950 il regista Carlo Lizzani gli affida il ruolo di protagonista nel film Achtung Banditi!. In seguito all’esperienza si reca a Roma, dove, dopo altre esperienze di recitazione nel mondo del cinema, comincia un apprendistato come aiuto regista di Lizzani e Pontecorvo. Nel 1960 debutta nella regia con Tiro al piccione, film sulla Resistenza partigiana, che viene presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia nel 1961. Nel 1964 realizza La moglie svedese, un divertente episodio del film Extraconiugale. Un importante riconoscimento gli viene conferito al Festival di Berlino con il Premio Speciale della Giuria per Una bella grinta (1965), lungometraggio che narra le vicende di un arrampicatore sociale nell’Italia del miracolo economico. Dopo aver girato negli Usa Ad ogni costo (1967) e Gli intoccabili (1969), Montaldo torna in Italia per realizzare la Trilogia sul potere: Gott mit uns (1969), Sacco e Vanzetti (1971) e Giordano Bruno (1973), film dai quali emerge una profonda riflessione su temi politici e sociali dovuta anche ai fatti di cronaca nell’Italia di quegli anni. I tre film ricevono ampi consensi e riconoscimenti a vari festival cinematografici internazionali. Il tema della Resistenza torna nel film L’Agnese va a morire diretto da Montaldo nel 1977. Seguono altre produzioni cinematografiche, e nel 1980 il regista intraprende la realizzazione di una serie televisiva sulle esplorazioni di Marco Polo prodotta da vari paesi. Le riprese portano la troupe in Italia, Medio Oriente, Pamir, Tibet, Mongolia e Cina e vede la partecipazione di un prestigioso cast di attori. L’ultima fase della lavorazione è fatta a Hollywood ed è venduta a 76 nazioni, vince quindi l’Emmy Award come migliore serie televisiva presentata negli Stati Uniti, e altri riconoscimenti per fotografia, scenografia e costumi. L’esperienza cinese di Montaldo si rivela un punto di svolta nel suo lavoro. Nel 1983 al regista – fino ad allora solo cinematografico e televisivo – viene affidato l’allestimento della Turandot di Puccini all’Arena di Verona, e riceve molti e significativi consensi. Il 1983 è anche l’anno delle riprese in alta definizione di Arlecchino a Venezia, esperimento attuato in collaborazione con Vittorio Storaro: segnale della volontà del regista di sperimentare nuove tecnologie, e nuovi linguaggi. D’ora in poi, Montaldo alterna la sua presenza sul set cinematografico a quella in teatro. Nel 1985 torna all’Arena di Verona con Attila mentre negli anni successivi dirige i film Il giorno prima (1985) e Gli occhiali d’oro (1987), quest’ultimo vincitore del premio “Osella d’oro” per scenografia e costumi alla Mostra del Cinema di Venezia. Il 1990 è un anno ricco di proposte per la regia di opere liriche ancora all’Arena di Verona, al Teatro Comunale di Firenze, a Parma e al Regio di Torino. Nel 1992 tra i vari impegni, il regista genovese è nuovamente a Verona con La Bohème e vi ritorna due anni dopo con Otello. Nel 1997, alla messa in scena de Il Flauto Magico a Vienna e a Monaco di Baviera si affianca la presentazione di Le stagioni dell’aquila alla Mostra del Cinema di Venezia, un film che racconta i 70 anni di storia del Cinegiornale Luce utilizzando il materiale di repertorio della storica casa di produzione. Dopo Nabucco e Rinaldo & Co a Catania nel 1997, Montaldo realizza Tosca a Verona nel 1998 e riscuote un grande successo. L’allestimento è riproposto dall’Arena per la stagione lirica 2002.


locandinagb2

 

 

Giordano Bruno – Eroe di Valmy
regia: Giovanni Pastrone 1908

 

 

 

film ungherese2

Giordano Bruno – Megkisértése
(dramaturg Benedek Katalin)

 

regia: Gyongyossy Imre, Kabay Barna 1973
cast: Mensàros Làszlò, Kalocsay Miklòs, Oze Lajos, Kozàk Andràs, Némethy Ferenc, Paudits Béla, Fehér Tivadar, Ivànka Csaba

Produzione: Magyarfilm Laboratòrium Vàllalat
Lingua: Ungherese

Durata: 40 min.

Giordano Bruno
(film d’animazione)

regia: V. Gontcharov 1984
soggetto e sceneggiatura: V. Gaidai

Dècors: N. Gouz
Musica: Y. Lapinski
Immagini: A. Moukhine
Suono: I. Pogone

Produzione: Kievnaoutchfilm
Nazionalità: U.R.S.S.
Lingua: Ucraino
Durata: 10 min.


Gian Maria Volontè

DVD
L’Opera al nero
Un film di André Delvaux.
Con Gian Maria Volonté, Barbara Frey, Anna Karina
Titolo originale L’oeuvre au noir.
Drammatico, durata 105 min.
Francia 1988

Gian Maria Volonté: da Bruno a Zenone

di Guido del Giudice

E’ uscita recentemente in DVD L’Opera al Nero, versione cinematografica del racconto di Marguerite Yourcenar, di cui è protagonista Gian Maria Volonté, nei panni di Zenone Ligre. Il grande attore milanese trasferisce l’esperienza maturata nell’indimenticabile “Giordano Bruno” in questa nuova suggestiva figura di pensatore “eretico”. La sua interpretazione rivela quanto l’ispirazione Bruniana lo abbia formato dal punto di vista intellettuale, oltre che professionale. Di sicuro nella sceneggiatura e nella realizzazione del film, Volontè portò la sua esperienza precedente e laddove i riferimenti bruniani non fossero stati colti, l’attore, dall’alto della sua personalità e della sua autonomia interpretativa, avrà sicuramente  trasferito nel film le suggestioni bruniane che aveva interiorizzato nella precedente avventura con Montaldo. Volontè ha  messo del suo per “brunizzare”, per così dire, il romanzo della Yourcenar, la quale a sua volta, ancor più di quanto non confessi nella nota finale del libro, si rifà al personaggio di Giordano Bruno. Lo testimoniano alcuni particolari, ad esempio l’esecuzione di Zenone fissata per il 18 febbraio, e alcuni brani del romanzo, che si ispirano apertamente alla vicenda umana e alla filosofia del Nolano. Zenone sembra effettivamente un Bruno invecchiato, disincantato, senza quell’ardore, quella vis pugnandi con cui affrontò il processo e il suo destino. Volontè ce lo rappresenta come un uomo che ha capito ormai  l’inutilità di ogni sforzo, un po’ rassegnato se vogliamo, ma al contempo orgoglioso e pronto a difendere, anche se in modi diversi, la propria autonomia di pensiero.  Il suicidio finale sembra quasi una variante, un finale alternativo della vicenda Bruno. La morte di Zenone non differisce sostanzialmente da quella del Nolano, in quanto costituisce il conscio affrontare quella che anche lui considera solo una mutazione, senza voler però concedere lo spettacolo del rogo. La scelta di darsi la morte da sé, privata dei caratteri di codardia, di fuga e vista, invece, alla luce di quella fede panteistica nella metempsicosi, comune ai due filosofi, si presenta come del tutto legittima e coerente. Non si adattava certo al carattere di Bruno, ma, sembra dirci la coppia Yourcenar-Volontè, avrebbe potuto essere una scelta possibile anche questa. Durante il processo Zenone, pur senza chiederlo, gode i benefici della sua nobiltà di nascita. Se è vero che anche con Bruno furono usate delle cautele, ciò fu fatto solo per la grande rilevanza internazionale del personaggio, non certo per rispetto al suo status sociale. Nel caso di Zenone si potrebbe dire che è l’opposto: una parte minima anzi trascurabile ha l’importanza della sua opera e le sue idee rispetto allo sconcerto destato dal traviamento di una mente così elevata e promettente. Consiglierei come una godibile e preziosa esperienza di pensiero, oltreché artistica, la visione in sequenza dei due film.