“Chi falla in appuntar primo bottone, né mezzani né l’ultimo indovina” (Giordano Bruno – Candelaio)
GIORDANO BRUNO E IL TEATRO ELISABETTIANO (di Hilary Gatti)
La possibilità che Bruno fosse conosciuto ai grandi drammaturghi inglesi del periodo elisabettiano e giacominiano, o tramite una lettura dei suoi testi, molti dei quali scritti e pubblicati in Inghilterra, oppure addirittura tramite incontri diretti e indiretti (essenziale in questo contesto la presenza a Londra, prima presso l’Ambasciata francese che ospitò lo stesso Bruno tra la primavera del 1583 e l’autunno del 1585 e poi nell’ambito della corte di Giacomo I, di John Florio, l’autore di un dictionaire italiano/inglese per cui, dall’elenco da lui stesso fornito all’inizio del suo testo, furono utilizzati molti dei dialoghi italianio di Bruno), è stata ipotizzata dai critici e biografi di Bruno fin dai primi anni dell’Ottocento. L’ambito della questione che ha più attirato l’attenzione della critica è stato inevitabilmente quello shakespeariano, per cui esiste ormai una folta bibliografia che arriva fino ai nostri giorni. Tuttavia, nel corso del Novecento si sono aggiunte ulteriori ipotesi che riguardano in primo luogo l’opera di Christopher Marlowe, l’ardito e discusso autore del dramma di Dr.Faustus: suggestivo mito dell’eroe moderno presentato come la vittima tragica di una nuova e sempre insoddisfatta sete di conoscenza ancora proibite. Ne’ mancano altre ipotesi meno attese, come per esempio quella, soltanto a prima vista sorprendente, della presenza di opere di Bruno come vere e proprie fonti di alcuni degli intrattenimenti di corte che tanto piacevano a Giacomo I e a suo figlio Carlo I, il cui assolutismo intransigente darà luogo alla guerra civile inglese del Seicento in cui verranno poste le fondamenta dello stato parlamentare moderno. E se molti di questi rappresentanti sembrano basarsi su una lettura dei sei dialoghi filosofici italiani scritti e pubblicati a Londra tra il 1583 e i585, a prova del fitto intreccio tra pensiero e poesia che caratterizza il dramma inglese del periodo, non mancano studi su una più diretta presenza del Candelaio bruniano in commedie come il Love’s Labour’s Lost di Shakespeare o The Alchimist di Ben Jonson. Il campo sempre più ampio in cui sembra profilarsi un rapporto tra Bruno e i drammaturghi inglesi del suo periodo, o quello immediatamente successivo, rende ormai arduo tracciare un percorso unico ed omogeneo seguito dalla sua opera e il suo pensiero nell’ambito del teatro elisabettiano e giocominiano. Complessivamente, comunque, sembra profilarsi una lettura più aderente allo aspirito di Bruno stesso di quella reazione sconvolta e spesso ostile che ha portato poeti come John Donne e uomini di lettere e di pensiero come George Abbott o Robert Burton (tutti sacerdoti anglicani) a diffidarsi della nuova filosofia: di quella filosofia che sottopone tutte le idee tradizionali al rigore di un dubbio metodico e spietato nel contesto di un universo infinito che ha ormai perso i suoi co-ordinati geocentrici in cui ogni cosa si riduceva a misura dell’uomo. I drammaturghi, invece, varcano con più slancio la soglia del nuovo universo infinito, in cui tutto diventa relativo ad un’infinità di centri cangianti, ma in cui l’orizzonte si allarga a dismisura e il pensiero e le passioni trovano nuovi spazi concettuali e linguistici in cui esprimersi. Appare infine probabile che il filone di studio che si occupa dei rapporti che legano Bruno ai drammaturghi inglesi del suo periodo sia destinato non soltanto a continuare ma anche ad approfondirsi. La recente scoperta del primo documento che porta in Inghilterra la notizia del rogo di Bruno tra le carte del Conte di Essex, grande mecenate delle artio e in particolare del teatro, che ha ingaggiato la compagnia di Shakespeare a rappresentare il suo dramma sulla sconfitta del re Riccardo II la sera prima del fallito colpo di stato che Essex ha tentato di ordire contro l’ormai vecchia Elisabetta I, appare in questo contesto di straordinario interesse. Sembra infatti suggerire una più stretta connessione di quanto finora è stata sospettata tra la figura e l’opera di Bruno e alcune correnti di pensiero inglese insofferenti verso il potere opprimente del periodo. Così che si profila un influsso dell’opera bruniana non soltanto nel contesto di temi quali la nuova ricerca di conoscenze tradizionalmente vietate – di nuovi orizzonti insieme cosmologici ed intellettuali – portata avanti con un’intensità che si avvicina alla follia, ma anche in un contesto più propriamente storico e politico, i cui contorni rimangono ancora, almeno in parte, da definire.
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