Istituto Studi filosofici: Cronaca di una morte annunciata

Giordano chiama il pane, pane; il vino, vino…ha la dottrina per dottrina, le imposture per imposture…stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti.

di Guido del Giudice

Dispiace per il destino dell’ Istituto Studi Filosofici e certamente l’immagine emaciata, un po’ decrepita di Gerardo Marotta, che sprofonda con i suoi libri in un maelström senza ritorno, testimonia la tragicità della situazione, oltre all’eroica, nobile impresa portata avanti negli anni da questo indomito vegliardo innamorato della filosofia. Certo anche lui non è esente da colpe (nessuno di noi lo è), ma in momenti come questo bisogna schierarsi a difesa dell’Idea, senza indulgere all’analisi spietata delle responsabilità. Di quella Università che oggi Marotta addita come principale responsabile della “ruina” dell’Istituto, egli è stato complice consapevole e pertinace. Sono certo che si è trattato di una necessità, che nel corso degli anni si sia presentata ai suoi occhi come l’unica possibilità di sopravvivere, ma non può non suonare tardivo e un po’ ipocrita questo “J’accuse” finale.

All’Università egli si è appoggiato, facendosi trascinare nella logica spartitoria e ricattatoria di alcuni Studi filosoficibaroni autoctoni, che si sono serviti dell’Istituto a loro piacimento, e se parlo così, lo faccio a ragion veduta. Non lo condanno: probabilmente le dolorose scelte determinate dalle necessità economiche che si è trovato a fronteggiare, lo hanno posto dinanzi ad una cruda alternativa: soccombere o cedere, un passo alla volta, ai compromessi e alle imposizioni degli accademici. Si badi bene, ciò va visto come un ulteriore motivo di vanto. Sarebbe stato facile, con un atto d’orgoglio, compiere un gesto eclatante di rifiuto nei confronti di questi piccoli aiuti “usurai”, che gli consentivano di resistere, decretando però la fine di una entusiasmante impresa, che rimarrà in ogni caso indelebile nella storia della cultura di Napoli e dell’intero Paese, per non andar oltre. Sarebbe stato certo più facile ribellarsi una volta per tutte contro le piccole, dolorose umiliazioni sopportate, con l’unico intento di difendere con i denti il lavoro e i sacrifici di un’intera vita. Invece, tante chiacchiere e pochi fatti, un passo dopo l’altro, un cedimento dopo l’altro hanno finito (e la politica è spietatamente abile a mettere in atto questa strategia di asservimento) per determinare il suo completo accerchiamento, fino all’attuale, ennesimo disperato appello. L’Istituto va salvato a tutti i costi e va dato atto a Marotta dell’eroismo della sua impresa, ma è anche vero che per dare una prospettiva futura a questo progetto, per far si che non rimanga un’impresa personale e isolata, che si esaurisca con la vicenda umana del suo creatore, è necessario un progetto di ben altro respiro. Non basta un ulteriore, limitato reperimento di fondi per permettere in extremis il salvataggio di una sia pur mirabile biblioteca o delle vetuste e gloriose stanze di un palazzo. Sono sicuro che lo stesso Marotta abbia le idee chiare su a chi affidare la sua eredità. Pur celebrando, come è giusto, il ricordo delle voci illustri che hanno echeggiato nelle antiche sale del palazzo Serra di Cassano, non bisogna dare l’immagine di qualcosa che voglia sopravvivere inalterato nella sua vetustà, senza adeguarsi ai tempi. Perché oggi la filosofia è tutt’altro che morta, anzi è in piena rifioritura, grazie anche all’apporto di tecnologie che consentono nuove forme di comunicazione. Bisogna lottare, perciò, per un nuovo Istituto, aprioristicamente libero dalle ingerenze “politiche” di una Università allo sbando. E’ un’impresa possibile? Noi, strenui difensori del sapere in tutte le sue forme, abbiamo comunque il dovere di provarci, con la stessa convinzione che faceva dire al Nolano: “ora che siamo stati nella feccia delle scienze, che hanno parturita la feccia delle opinioni, le quali son causa della feccia de gli costumi et opre, possiamo certo aspettare de ritornare a meglior stati”.

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