Il Monte Taigeto e la Rupe Tarpea: “ Richard W. Pogge ”

L’astronomo americano Richard W. Pogge nel 1999 scrisse una tesina dall’eloquente titolo The folly of Giordano Bruno nella quale sosteneva che Bruno non fosse altro che un picchiatello. All’epoca non l’avevo neanche preso in considerazione, come non avrei considerato una tesi che avesse sostenuto che Michelangelo fosse soltanto uno scalpellino. Ma passano i lustri ed eccolo ancora lì in internet, ridanciano e trionfante nelle sue asserzioni e addirittura coperto da Copyright! Allora, infastidito dalla petulante litania, che non proviene da un bischero qualunque ma da un famoso titolare di cattedra, l’ho voluto sottoporre ad opportuna spulciatura. Non è la prima volta che Bruno viene trattato da pazzacone, come si usava dire: accuse di quel genere, colme di acredine e livore, gli erano già state mosse nel 1583 da George Abbot, un ecclesiastico che, ascoltando il filosofo a Oxford, tra altri argomenti di sicuro molto validi intellettualmente, come quello sulla scarsa statura dell’oratore, aveva scritto: egli intraprese il tentativo di far stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre, in realtà, era piuttosto la sua testa che girava e il suo cervello che non stava fermo . Ma se l’astio a priori poteva essere giustificato in un risuolatore di coscienze del Rinascimento, è curioso ritrovarlo oggi, dopo il lungo fluire del tempo che avrebbe dovuto portare quanto meno a prudenza, se non a saggezza. Evidentemente lo scrutatore celeste si ritiene in diritto di discettare anche al di fuori delle sue conoscenze, altrimenti non darebbe del folle al più grande filosofo italiano, rischiando oltretutto di fare la figura di Orlando sulla luna. Ma tant’è, viviamo in un’epoca di revisionismi operati da chiunque si affacci su un palcoscenico, spesso gonfio di arroganza pari all’ignoranza. Nella tesina, stucchevole come una Danza delle ore di Ponchielli fuori tempo, compaiono inoltre alcuni svarioni, ripetuti: come il nome del Bruno, Fillipo (sic) e l’anno della sua estradizione a Roma, 1592 (in realtà 1593), nonché la doppia indicazione di Campo di Fiore. Il professore se la prende col Bruno perché non era un astronomo e dimostrava secondo lui (che può avvalersi di quattro secoli di innumerevoli osservazioni altrui e di giganteschi strumenti) scarsa conoscenza dell’astronomia. Lo accusa anche di aver tratto alcune sue tesi dagli scritti di un matematico e astronomo inglese Thomas Digges, pubblicati in inglese nel 1576. Lo considera pertanto come una persona che si sovrastimava e presentava l’indubbio marchio di follia. Sufficit. Come tutti sanno, Bruno si dichiarò sempre e unicamente filosofo e, avvalendosi solo della sua mente, andò ben oltre le concezioni di Copernico e anche del Digges, che, al contrario del Copernico, rimase limitato alla sua epoca. Col tempo, sono state riconosciute come geniali alcune osservazioni del Bruno perfino in campo astronomico, come quella che le stelle appaiono fisse a causa della loro grande distanza . Ma è alla fine del suo saggio che il professore dà il meglio: fu solo un caso, sostiene, se il Bruno diventò famoso e non rimase una semplice nota in un testo sul 1500, perché, giocando d’azzardo, azzeccò il cavallo vincente, vale a dire quella che nel tempo si sarebbe rivelata come la realtà dei fatti. Così conclude, sarcasticamente, che la storia è divertente in questo. Complimenti professore, davvero divertente.

Gianmario Ricchezza

“Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”

“Premiate le due vincitrici del Certame Bruniano promosso dal comune di Nola.”

 

 

Certame Noalno per ricordare Giordano Bruno

Ogni manifestazione che promuova la memoria di Giordano Bruno è da apprezzare, specie quando si rivolge ai giovani. Ma non si può fare a meno di notare come la commissione esaminatrice presieduta dall’onnipresente Michele Ciliberto, docente della Scuola Normale Superiore di Pisa, abbia deciso di premiare una Nolana e… una Pisana. Per carità le vincitrici saranno sicuramente due valide studentesse, meritevoli di plauso, ma non cesseremo mai di stigmatizzare i criteri spartitori che continuano a dominare incontrastati nel mondo della cultura, dai premi letterari alla pubblicazione con case editrici di primo livello e via discorrendo. È un peccato che certi personaggi, che pure hanno fornito contributi decisivi agli studi bruniani, continuino, anche in tarda età, a rovinare la propria immagine con il comportamento tipico della parte peggiore dell’accademia, proprio quella che Bruno disprezzava con tutte le sue forze! Se ci fossero stati loro nel consiglio accademico di Wittenberg o di Helmstedt, di sicuro il povero Nolano non avrebbe avuto la possibilità di insegnare neanche lì, scalzato da qualche loro pupillo!

Guido del Giudice

Pedanti sul viale del tramonto

Non se ne può più di questi pedanti! È vero che con l’avvento dei social il livello culturale si è appiattito in basso, per cui tutti parlano di tutto e prendono per vera ogni cosa che leggono, ma quando coloro che dovrebbero essere preparati e precisi nelle loro affermazioni sono i primi a diffondere falsità, bisogna seriamente preoccuparsi. Quando uno studioso si è occupato per una vita intera di un determinato autore, una volta dato fondo a tutti i contributi che è stato in grado di dare, riproponendoli per decenni in tutte le salse, dovrebbe avere il buon gusto di uscire di scena per non rovinare anche quello che di buono ha realizzato. Col passar del tempo ipotesi e notizie che andavano bene cinquant’anni fa sono state ampiamente superate da nuovi studi e ricerche: è ora di dare spazio ai giovani. Prendiamo ad esempio la critica bruniana: la scena è dominata da oltre un trentennio dalla rivalità di due accademici, Michele Ciliberto e Nuccio Ordine. Quest’ultimo ha pubblicato per la terza volta (se non ho perso il conto) la sua “Cabala dell’asino”, l’unico contributo offerto all’ecdotica bruniana nella sua carriera. Ogni volta che cambia editore ripubblica lo stesso saggio con qualche modifica. L’ennesima prova che l’immaginazione di costoro si è da tempo prosciugata è la nuova biografia bruniana data recentemente alle stampe da Ciliberto, realizzata aggiungendo pagine su pagine alle precedenti (è arrivato a oltre 800!), che ripetono sempre gli stessi concetti e gli stessi errori. Ovvio che una roba del genere non venga letta neanche da coloro che sono obbligati a recensirla. Nel suo breve commento sulla “Stampa” di Torino, infatti, Gianni Riotta ci informa che il Nolano “spende nove anni nei sotterranei di Castel S. Angelo” (sic). Nemmeno il titolo è originale: uno dei capitoli del mio “Giordano Bruno. Il profeta dell’universo infinito” era intitolato “Il sapiente e il furioso”. Ne “Il sapiente furore”, Ciliberto continua ad insistere sulla teatralità del Nolano, con interpretazioni talvolta opinabili e quel che è peggio per un biografo, senza aggiornare le notizie alla luce dei più recenti studi. Del resto la totale assenza di ricerca è una caratteristica storica dei suoi lavori. Un esempio per tutti: continua ad attribuire per intere pagine all’incolpevole Heinrich Boëthius la scomunica inflitta a Bruno ad Helmstedt, laddove è stato dimostrato con documenti inoppugnabili da Pietro Daniel Omodeo che, all’epoca, il sovrintendente della Chiesa luterana di Helmstedt era Johannes Mebesius. È paradossale che il saggio di Omodeo sia riportato nella bibliografia, realizzata da due collaboratrici, evidentemente più attente dell’autore del libro! Di inesattezze come questa potrei citarne tante, ancor più delle venti rilevate da Bruno in una sola lezione del pedante ginevrino Antoine de la Faye, che gli costarono un’altra scomunica! Per sua fortuna Ciliberto si può consolare recensendo sul “Sole 24 ore” l’ultimo libro di Gilberto Sacerdoti: “Saggi libertini”. E, soprattutto, ci possiamo consolare noi leggendoli. Sacerdoti ci tranquillizza sul fatto che esistano ancora accademici in grado di fornire spunti seri e interessanti. Intelligente, creativo, ma soprattutto originale, ci ha dato con “Sacrificio e sovranità” una delle più belle raccolte di saggi “bruniani”. Questa sua ultima fatica merita sicuramente la stessa attenzione.

Guido del Giudice

Il Monte Taigeto e la Rupe Tarpea: “Germano Maifreda”

Torna la rubrica di Gianmario Ricchezza.

Germano Maifreda, professore di Storia economica all’Università di Milano
Immagine da Wikipedia

Germano Maifreda, professore di Storia economica all’Università di Milano, ha avuto l’idea di investigare sulle stranezze in cui ci si imbatte nella denuncia, processo e condanna del Bruno, individuandone la maggiore nella figura del frate cappuccino Celestino da Verona, al secolo Giovanni Antonio Arrigoni. Un alone oscuro sembra circondare questo personaggio che attraversò come un meteorite in rotta di collisione il periodo di detenzione del Bruno, sia nelle carceri venete che in quelle vaticane, diventandone accusatore implacabile.

Una vicenda complicata, la definisce il Maifreda che si tuffa nelle ricerche a lui congeniali partendo da alcuni dati economici incongruenti come lo strano trattamento di privilegio di cui avrebbe usufruito il delatore alla vigilia della sua messa al rogo (nella notte tra il 15 e il 16 settembre 1599), nel caso alcuni pasti speciali e un nuovo abbigliamento, nonché strani tira e molla verificatisi con le autorità ecclesiastiche.

Altra stranezza, per lui, l’apparente rassegnazione del Bruno, nell’ultimo periodo, come se rinunciasse alla sua battaglia permanente e cercasse volontariamente la fine. In realtà, nulla poteva fare il Nolano per evitare la condanna a morte una volta insediato il Papa Clemente VIII (non certo una mammola) che mirava a fare del filosofo un burattino in balia del disprezzo popolare nel teatrino allestito per il Giubileo.

Comprensibile, quindi, la decisione del Bruno di andare sino in fondo ad un percorso esistenziale che, come molti grandi spiriti, aveva intravisto nelle linee eroiche già da tanti anni e anticipato con le sue premonizioni. Il libro ha ottenuto l’avallo prestigioso della Scuola Normale Superiore di Pisa e, quanto più un’opera arriva dall’ alto, tanto più deve essere senza pecca; ci saremmo pertanto aspettati almeno un indice dei nomi. Nonostante siano veramente pochi coloro che si occupano a buon livello del più grande filosofo italiano, esprimiamo alcune considerazioni su un’opera promettente.

Intanto, come ha rilevato Massimo Firpo, “Non è possibile seguire in dettaglio l’intricato labirinto in cui Maifreda accompagna il lettore”; il professore, indubbiamente, si è trovato di fronte a una matassa ingarbugliata e, per cercare di sbrogliarla, tratta di tipologie e modalità processuali, di aspetti formali e legali sui quali esprime giudizi altalenanti tra riconoscimenti di onestà procedurale e sospetti di orientamenti non imparziali; sino a sfociare nell’ ipotesi di una farsa teatrale allestita per l’esecuzione presunta del Celestino a scapito di qualche poveraccio sconosciuto.

Allo stesso modo, ci presenta anche il contrasto tra alti esponenti della Chiesa come Bellarmino e Santori (avremmo aggiunto anche Beccarla e Bonelli), non proprio l’Esercito della Salvezza, allora come oggi.

A nostro avviso, quelle lotte di potere e i servilismi conseguenti basterebbero a giustificare gran parte delle incongruenze rilevate e considerate strane: ad esempio la volontà dei giudici di perseguire l’imputato con rapida efficacia (p.20) nella parte veneta, contrapposta alla lunghezza anomala della detenzione romana, alle scarse (alla fine nulle) attenzioni dibattimentali riservate al filosofo, all’ odio portatogli da alcuni prelati, vedasi l’avversione del Generale dei Domenicani Ippolito Maria Beccaria, furioso battitore di conventi, il cui ruolo nella vicenda è stato evidenziato per primo da Guido del Giudice, nel suo brillante “Io dirò la verità”. Qui avremmo avuto piacere che il Maifreda avesse rilevato, tra i tanti personaggi presi in considerazione nel libro, la inquietante presenza a Venezia del Beccaria dal 5 maggio al 1 luglio 1592, mentre il Bruno veniva arrestato il 22 maggio: solo una strana coincidenza?.

Senza andare troppo lontano, non è stato messo in rilievo che Zuane Mocenigo non era un patrizio qualunque ma un esponente di una delle più antiche, potenti, e influenti famiglie venete che aveva contato, nei vari rami, decine di personalità, dogi, combattenti, provveditori e vescovi: Marcantonio Mocenigo inaugurò, nel 1587, il Seminario vescovile di Ceneda (ora sobborgo di Vittorio Veneto). La grande famiglia, dal 1474 al 1575, aveva anche battuto moneta, la Lira Mocenigo.

Si spiegano allora altre stranezze apparenti, tra le quali l’atteggiamento del Zuane Mocenigo con le sue lettere di denuncia: il Bruno era andato a cacciarsi nel posto più pericoloso esistente!. Tornando al libro, non vi abbiamo trovato una documentazione convincente sui trattamenti di riguardo al Celestino, né su altri aspetti di interesse; vi sono invece asserzioni non comprovate su presunte riunioni tra il Bruno e nuovi arrivi nelle carceri, quali Stigliola e Campanella; forse preso da entusiasmo il Maifreda afferma: Lo stesso Nolano, negli anni della detenzione romana, tenne appassionate lezioni sull’infinità dell’universo a Antonio Stigliola e Tommaso Campanella (p.182).

Il Maifreda si avvale qui, come in molti altri punti, quale fonte primaria di Saverio Ricci (Giordano Bruno nell’ Europa del cinquecento, Salerno, 2000) che però non mi sembra autorizzi tale interpretazione. Il grande egittologo Silvio Curto diceva: Quando vi do una notizia importante chiedetemene la prova.

E’ comunque improbabile che allora, in quelle carceri, si potessero tenere riunioni di eretici quasi che il Vaticano fornisse cornetti e cappuccini anziché tratti di corda. Non risultano neanche le simpatie del Bruno verso Enrico di Navarra, di cui parla l’autore a più riprese come manifeste: si trovano nelle chiacchiere intercorse tra il Bruno e il Mocenigo e da quest’ultimo riportate nella terza denuncia, ma il filosofo stesso dice di non aver mai conosciuto il Navarra (V costituto 3/6/1592).

Alla fine ci è rimasta l’impressione come di un sasso gettato in uno stagno: i cerchi si allontanano sull’ acqua e dalla calma piatta subentrante sulla superficie emergono solo alcuni riflessi.

Gianmario Ricchezza

Michele Ciliberto e la scoperta…dell’acqua calda.

La nuova biografia di Giordano Bruno ad opera di Ciliberto.

L’edizione domenicale del Sole24ore annuncia in anteprima l’uscita in libreria di una edizione riveduta della biografia di Giordano Bruno di Michele Ciliberto.

Ciliberto continua a basare la sua autorità sulla quantità, anziché sulla qualità. Edizioni critiche delle opere italiane, eseguite da altri che lo accusano di plagio, ponderose (e costose) traduzioni delle opere latine, di cui si limita a scrivere le introduzioni, improbabili enciclopedici “lemmari”, e ora le oltre 800 pagine di questo ennesimo polpettone, che dovrebbe dettar legge anche nel campo della biografia, proponendosi addirittura Il sole 24 ore: Cilibertocome “summa”.

Il professore ci riprova. Consapevole forse dell’infelice esito della precedente edizione della biografia del Nolano (dal punto di vista culturale, non certo economico, perché l’uomo della sinistra non disprezza i lauti compensi delle case editrici berlusconiane). E, udite udite, annuncia di aver capito con gli anni l’importanza del nesso inscindibile, in un autore come Bruno, tra biografia e filosofia.

Naturalmente il padre di questo approccio che “schiude nuove prospettiva di studio” sarebbe lui. Il primo ad aver individuato “la via maestra per poter penetrare in esperienze per le quali la dimensione biografica è la sorgente originaria di intuizioni, visioni, depositatesi poi in testi che oggi si presentano a noi come classici “disincarnati”, “assoluti”.

Insomma Ciliberto ha scoperto che la “via maestra” è quella che il sottoscritto sta seguendo da oltre vent’anni, sfidando l’ostilità di tutto il mondo accademico (che però attentamente lo segue, e lo copia). Improvvisamente si è accorto che per capire le opere di Bruno bisogna “viverle”. Ma viverle significa seguire l’approccio che ho utilizzato per realizzare le mie traduzioni delle opere latine del Nolano.

Quando, per tradurre la “Summa terminorum metaphysicorum”, mi arrampicavo sulle colline zurighesi per calarmi nell’atmosfera del castello di Elgg, dove Bruno dava lezioni agli alchimisti non Rosacrociani, Ciliberto dov’era? Quando a Praga calcavo le orme del piccolo monaco italiano nella sala di Vladislao del palazzo imperiale di Rodolfo II, per scrivere l’introduzione alla traduzione dei “160 Articoli contro i matematici”, Ciliberto dov’era?

Ve lo dico io: era comodamente seduto sulla sua poltrona di Palazzo Strozzi a comporre introduzioni ai lavori che giovani studiose facevano per lui. Non c’è mai stata un’ombra di ricerca negli scritti di Ciliberto, che non fosse opera di altri.

Completamente sconosciuto all’estero, dov’è che avrebbe vissuto l’atmosfera delle opere di Bruno? Rimasto finora ancorato a ricostruzioni biografiche che risalgono a Vincenzo Spampanato, dichiara nell’articolo di volersi aprire, adesso, ai contributi più moderni. Sono proprio curioso di vedere quali sono e a chi appartengono. Io un’idea ce l’ho.

Giordano Bruno, te la sei cercata!

Speciale su Giordano Bruno di “Tele Vaticano”.

Tutto sommato, poteva andare peggio commenterà qualcuno. E invece no. Lo speciale su Giordano Bruno di “Tele Vaticano”, andato in onda ieri sera, è costruito con sottile malizia. Gli argomenti sono sapientemente graduati per avvalorare, in continuo crescendo , la tesi sostenuta: che in fondo la Chiesa non voleva bruciarlo ed è stato lui a cercarsela! Non a caso il racconto del processo occupa l’intera seconda parte, mentre, tanto per fare un esempio, la sua città natale non viene minimamente citata (immagino il giusto disappunto degli amici Nolani)!

Ci sarebbe tanto da obiettare su questo prodotto di scarsissimo valore documentario e storico. Altro che i 20 errori contestati dal Nolano al De la Faye, per i quali fu scomunicato a Ginevra! Per circoscrivere il campo voglio prendere in esame l’apporto dei singoli “esperti” consultati per l’occasione. La scelta di affidare il commento principale a una docente di Storia del Cristianesimo dice già tutto. La prof.ssa Salvarani sarà pure preparata nella sua materia, ma di Giordano Bruno dimostra di conoscere poco o niente.

A un certo Tele Vaticano logo - Giordano Brunopunto le sentiamo dire che Copernico (morto quando Il Nolano non era ancora nato) non era d’accordo col filosofo! Del resto, da questo punto di vista le inesattezze storiche si sprecano. Ne cito qualcuna alla rinfusa. Bruno viene fatto soggiornare per due anni a Tolone (sic), anziché Tolosa, nella cui università tra l’altro insegnò.

Come palazzo di Mocenigo si mostra quello sul Canal Grande anziché quello del traditore che si trova a S. Samuele. Ma dove hanno preso le informazioni, su Topolino? E veniamo ai due soliti cavalli di battaglia degli anti-bruniani. “Bruno era richiesto dai regnanti per la sua fama di mago”. Giordano non fu mai invitato da nessuna sovrano. Fu sempre lui a proporsi, sia ad Enrico III, sia a Rodolfo II, dalla cui corte peraltro scappò proprio perché infestata da ciarlatani.

Seconda bufala: la storia della spia. Il colmo del ridicolo lo raggiunge la Salvarani quando, richiesta se Bruno avrebbe potuto essere una spia, risponde che si, aveva tutte le caratteristiche ideali. Sarebbe come dire che un macellaio esperto nell’uso dei coltelli e nella dissezione delle carni, avrebbe potuto essere un buon chirurgo! Ma i fatti, gli unici ai quali dovrebbe attenersi uno storico, dove sono? Per fortuna a questa accusa risponde in maniera corretta e circostanziata la Rowlings, pur nel suo stile…vogliamo definirlo naif ? La studiosa inglese (autrice di una biografia bruniana scadente quanto a documentazione, ma almeno animata da vera passione per il personaggio) riassume in poche battute l’assoluta inconsistenza della tesi inventata dal suo connazionale John Bossy.

Ma veniamo alla seconda parte del servizio, quella che sta più a cuore ai suoi realizzatori. Qui viene alla ribalta il contributo dell’ultimo degli “esperti” consultati per l’occasione. Chi se non lui, l’onnipresente Michele Ciliberto, Questa volta però il suo ossessivo presenzialismo gli gioca un brutto scherzo. Per sostenere la tesi precostituita, il suo intervento viene smembrato e rimontato in maniera da evidenziarne tutte le incongruenze, rendendolo complice di una interpretazione che va ben aldilà delle pur discutibili affermazioni del professore.

Così, ad esempio, mentre il grande esperto dichiara che sia l’inquisizione veneta che quella romana non sapevano chi fosse Bruno (cosa peraltro falsa, come ho ampiamente dimostrato nella mia recente ricostruzione dell’arresto), la Salvarani sottolinea che il processo durò a lungo per “la grande notorietà di Bruno”! Inoltre ”i giudici dovettero leggere tutte le 40 opere del filosofo”. Ma quando mai! È accertato che il problema principale era quello opposto: non avevano nemmeno lo Spaccio de la bestia trionfante.

Dispiace sinceramente vedere uno studioso come Ciliberto che, pur tra luci ed ombre, qualche contributo importante all’ecdotica bruniana l’ha dato, farsi manipolare in maniera così sconsiderata, ma gli anni passano per tutti. Dico io, gli avranno pur fatto visionare il filmato prima di renderlo pubblico. Poteva benissimo chiedere di ripetere qualche scena, anche per eliminare alcune imbarazzanti sgrammaticature. Il finale del servizio, con i buoni uffici della Salvarani, è un lungo peana a Bellarmino per il suo trionfo sull’eretico che aveva osato sfidarlo sul terreno della disputa!

A questo punto la beatificazione successiva è ampiamente meritata! Naturalmente tutte le colpe della Chiesa vengono oscurate. “Si dice che forse il prigioniero fu torturato“, poi “Il papa si oppose all’uso della violenza”. Si chiude in bellezza con un’altra subdola menzogna. Che l’esortazione al governatore di Roma a “voler eseguire la sentenza senza mutilazioni di membro” sia una formula ipocrita seguita quasi sempre da esecuzioni capitali è cosa nota. Perché ufficialmente “Ecclesia abhorret a sanguine”.

Nel caso di Bruno, invece, è la dimostrazione del desiderio spasmodico di salvarlo in extremis (anche qui le parole dell’ingenuo Ciliberto vengono portate a sostegno). Il commento finale del conduttore Cesare Bocci è una minaccia che desta inquietudine: “Essere coerenti può costare molto caro. Fino a che punto si è disposti a pagare questo prezzo?”

Meditate, liberi pensatori, meditate bene!

Guido del Giudice

“IO DIRÒ… LA FALSITÀ!”

L’ennesima squallida storia!

Questa storia ha come protagonista un rappresentante del cosiddetto “mondo accademico”.

Il 29 agosto dello scorso anno al mio gruppo Facebook dedicato a Giordano Bruno si iscrive tal Germano Maifreda, il cui nome mi era noto per un saggio su Celestino da Verona. Lo accolgo facendogli notare di aver citato il suo lavoro in un mio articolo riguardante l’arresto e il processo a Bruno. Il Maifreda mi risponde dicendo di non averlo letto, al che gli fornisco il link per scaricarlo. http://www.guidodelgiudice.it/wp-content/uploads/2018/03/Arresto_GB.pdf

L’articolo.

Il mio articolo si basa sul libro da me pubblicato nel 2012 dal titolo “Io dirò la verità”, sottotitolo: “Intervista a Giordano Bruno”. Racconta in forma dialogica le vicende finali del processo. A questo punto il Maifreda non può non essere informato sia dell’articolo che dell’esistenza del mio libro. Dopo un mese esatto, il 29 settembre, il signor Maifreda annuncia sulla sua pagina facebook l’uscita del suo nuovo libro dal titolo “Io dirò la verità”, sottotitolo “Il processo a Giordano Bruno”!! Per giunta con una copertina che richiama nella scelta e nell’impostazione quella del mio. Complimenti per la fantasia!

Il gruppo Facebook.

L’iscrizione al gruppo era, dunque, stata fatta con l’evidente intento di sfruttare il canale per pubblicizzare l’uscita del volume. Operazione dal sapore provocatorio, poiché ben sapeva che un libro con lo stesso titolo e sullo stesso argomento era stato pubblicato, sei anni prima, proprio da me. Operazioni del genere non sono, purtroppo, una novità: il mio “Io dirò la verità” vanta più tentativi di imitazione della settimana enigmistica! Ci si aspetterebbe almeno, però, che uno che intitola un libro “Io dirò la verità” sfugga al paradosso di difenderlo ricorrendo a falsità. Falsità che sono state ovviamente cancellate dalla pagina Facebook. Ma, purtroppo per Maifreda, se una cosa non manca alla Rete è la memoria:

 

I commenti.

Ad una lettrice che gli fa notare l’evidente contraddizione, egli risponde così: “Al momento della stesura del mio libro non conoscevo (né ancora conosco) il libro del prof. Del Giudice. Ogni lettore potrà decidere se leggere il suo libro, il mio o entrambi, e li apprezzerà e giudicherà liberamente”. E ci mancherebbe pure! Aggiunge poi che “per fortuna in Italia esiste ancora la libertà di insegnamento e di ricerca universitaria”! Evidentemente egli ritiene che in questa libertà rientri anche il diritto di plagio! La legge sul diritto d’autore recita testualmente: “si può riprodurre il titolo di un’opera sopra un’altra senza il consenso dell’avente diritto (l’autore o il cessionario dei diritti) qualora esse siano di specie o carattere così diverse da risultare esclusa ogni possibilità di confusione” (art. 100 comma 3). Dovrebbe trattarsi cioè di un argomento inequivocabilmente diverso dall’altro e, decisamente, non mi sembra questo il caso.

L’editore Laterza.

Ancor più desolante è stata la risposta alle mie rimostranze dell’editore Laterza, che pure è un nome di prestigio nell’editoria filosofica, anche se non esente da logiche di controllo accademico. “Il titolo non è un’invenzione di fantasia (in questo caso ci saremmo ben guardati dall’utilizzarlo). Richiama invece – come Lei sa benissimo – le parole pronunciate dal filosofo Nolano agli inquisitori di Venezia all’inizio del processo.

Non è la prima volta che due volumi utilizzano una medesima celebre citazione. In questo caso, peraltro, il sottotitolo specifica la diversa natura dei due testi”. Ennesima falsità. Non è vero che i due testi siano di diversa natura. “Una nuova, avvincente e documentata ricostruzione” del processo al Nolano, come viene reclamizzata da Laterza, non può prescindere da quella da me fatta, nel 2012, proprio in “Io dirò la verità”. Ovviamente, però, non troverete traccia del mio nome nel libro di Maifreda, né in bibliografia né altrove. Invece, ovunque ricorre, con attestazioni di smodata piaggeria, il nome del deus ex machina di tutta questa operazione: il califfo di Palazzo Strozzi.

Il signor Maifreda.

Maifreda, prima d’ora, con Bruno non aveva mai avuto nulla a che fare. I suoi campi d’interesse erano l’economia e la storia dell’industria. Ha cominciato ad occuparsene con un saggio su Celestino da Verona, pubblicato, guarda caso, dalle Edizioni della Normale di Pisa, feudo di Michele Ciliberto. Maifreda non avrebbe mai potuto pubblicare il suo libro con Laterza senza l’assenso di Ciliberto. Un costume tutto italiano quello per cui gli editori, non essendo ovviamente conoscitori della materia, si affidano per le scelte editoriali al giudizio insindacabile dei docenti universitari della materia.

La Normale di Pisa.

Alla Normale, come alla Laterza, e in decine di altre case editrici non si pubblica nulla su Bruno senza il placet di costui. Lo sanno bene anche altri professori che, per esserselo fatto nemico, hanno dovuto ricostruirsi una carriera all’estero. Così, in Italia, ogni volta che si parla di Bruno, in libri, riviste, giornali, supplementi ai quotidiani, cd, dvd, documentari e programmi televisivi e chi più ne ha più ne metta, dobbiamo sorbirci il pistolotto sempre dello stesso personaggio. La sua tattica è ormai nota: appena si accorge dell’uscita di qualcosa di potenzialmente interessante su Bruno, attira l’ignaro con lusinghe e promesse e lo mette al proprio servizio, in cambio della protezione della casta.

Aquilecchia.

Ha fatto questo per decenni con le sue collaboratrici, che sono quelle che hanno realizzato il 90% delle opere da lui firmate, a parte il meridiano plagiato nel 2000 a Giovanni Aquilecchia e le decine di introduzioni. Non a caso, il suo “Teatro della vita” è una delle peggiori biografie bruniane mai scritte, zeppa di imprecisioni in quanto, pur validissimo nella interpretazione di alcune tematiche bruniane, il suo contributo personale di ricerca è stato pressoché nullo. La biografia è infatti impiantata su quanto riportato da altri, o fornito dalle sue assistenti, non sempre profonde conoscitrici delle vicende biografiche.

Quello di Maifreda è l’esempio perfetto di questo modo di interpretare la storiografia bruniana. Un’ipotesi per certi versi anche interessante, come io stesso ho riconosciuto, è stata incorporata in una rielaborazione di fantasia del processo a Bruno, composta assemblando informazioni estratte dai principali studi sull’argomento (compreso, naturalmente, il mio). Tutta questa vicenda non è altro che lo specchio del desolante panorama culturale italiano e del malcostume mafioso che imperversa nelle università.

Conclusioni.

Una degenerazione che vado denunciando da anni con dovizia di particolari (chi vuole può andare a leggersi le mie “mordacchie” precedenti), ma questi sono senza vergogna: “Che ci frega, siamo accademici noi, che vuole questo?!” Fortunatamente la fama e il rispetto che mi sono guadagnato con i miei studi su Giordano Bruno non sono dovuti a squallide manovre del genere, bensì al consenso ottenuto dal pubblico degli appassionati e degli studiosi grazie alle mie pubblicazioni e alla mia attività divulgativa.

Guido del Giudice

“Editori e filologi, il caso Giordano Bruno è ancora aperto”

“La rivista «Belfagor» pubblica un intervento del direttore de Les Belles Lettres.

Che rilancia le accuse di Aquilecchia contro il Meridiano”

Alain-Philippe-Segonds
Alain-Philippe-Segonds

«Non è una guerra tra editori»: lo afferma Alain Segonds, direttore generale della casa editrice parigina Les Belles Lettres, sull’ultimo numero di Belfagor. D’accordo, non sarà stata solo una guerra tra editori, però un pochino lo è stata, non è vero? Questo non significa che non si tratti di una «guerra giusta». Sto parlando della querelle divampata alcuni mesi fa, dopo la pubblicazione dei Dialoghi filosofici italiani di Giordano Bruno nella collana mondadoriana «I Meridiani», a cura di Michele Ciliberto. Il Corriere se n’è occupato a più riprese.

Giovanni Aquilecchia.

Però le ostilità non accennano a placarsi. Dopo l’articolo di Segonds, altri interventi sono annunciati: uno di Giovanni Aquilecchia sul Giornale storico della letteratura italiana e uno di Michele Ciliberto sulla Rivista di storia della filosofia. Oggetto del contendere: le modalità con cui è stata utilizzata, nel Meridiano, l’edizione critica dei Dialoghi messa a punto da Aquilecchia per Les Belles Lettres, che hanno in corso la pubblicazione delle Oeuvres complètes di Giordano Bruno. Nel volume mondadoriano, quell’edizione è indicata come «testo di riferimento»: locuzione abbastanza vaga e pudica; e seguita da quest’aggiunta: «Tutti i testi sono stati riscontrati in modo sistematico con le prime stampe, ed emendati da refusi e imperfezioni che, in alcuni casi, ne compromettevano il senso».

La “Nota sui testi”.

Insomma, la «Nota sui testi», che Segonds definisce offensiva, suggerisce che il testo de Les Belles Lettres è stato solo una «base di partenza per approdare poi a un testo privo di refusi e imperfezioni, e quindi migliore di quello di Aquilecchia». Operazione legittima, anche se fastidiosa per un editore come Les Belles Lettres, che in questi anni sulle Oeuvres complètes di Bruno ha puntato molto; se non fosse che la nozione fumosa di «testo di riferimento» è servita a Ciliberto per aggirare quella che è la prassi sana e normale: riprodurre un testo critico, indicando tutti i punti in cui lo si corregge e spiegando perché. Questo nel volume mondadoriano non c’è e Segonds ha ragione di sottolinearlo.

Quanto ad Aquilecchia, dichiara di avere confrontato i due testi. Ha trovato «130 interventi erronei o inopportuni, a fronte di una trentina di correzioni di banali refusi». Dichiarazione che lascia perplessi: giacché 130 interventi peggiorativi sono tantissimi, ma anche 30 refusi in un’edizione critica non sono comunque pochi.

Scontro tra filologi.

Insomma, da un lato c’è uno scontro tra filologi – uomini spesso implacabili perché si attengono, per mestiere e vocazione, alla lettera (l’ostinazione con cui Segonds e gli altri del partito Aquilecchia-Les Belles Lettres scrivono, senza mai dimenticare le virgolette, che il Meridiano è «a cura» di Ciliberto, fa pensare a: il corsivo è mio di Lenin); e dall’altro c’è lo scontro tra un editore accademico, o vicino all’Accademia, come Les Belles Lettres e un grande editore popolare come Mondadori. Si tratta di realtà che hanno obiettivi, logiche e soprattutto tempi diversi.

Il Meridiano.

Fra i molti faux pas di questa guerra spietata vorrei citare una dichiarazione di Ciliberto: «Queste polemiche le posso capire solo se tengo presente che il Meridiano ha già tirato due edizioni e venduto cinquemila copie, tagliando le gambe a Les Belles Lettres». Questo entusiasmo da novizio può non piacere, in un accademico. E tuttavia, scegliere un partito è difficile. Facendo il bilancio dei pro e dei contro, non bisogna dimenticare che l’editoria di massa ci offre, a prezzi accessibili, molte edizioni di classici, perfettamente soddisfacenti per noi specialisti in niente, e spesso utili anche agli specialisti.

a cura di GIOVANNI MARIOTTI

“Giordano Bruno e il giallo dell’ edizione critica”

L’ edizione critica.

In un mondo dove tutto, anche la scuola, è divenuto mercato, non c’è da stupirsi che studiosi e professori universitari non avvertano l’elementare regola morale di riconoscere che ciò che è di un altro non è proprio.

Alludo al caso del testo critico delle opere di Giordano Bruno stabilito da Giovanni Aquilecchia per le benemerite Belles Lettres. Successivamente è stato riproposto da Michele Ciliberto nella sua recentissima edizione nei «Meridiani» di Mondadori. Non si è avuta una una chiara e rispettosa ammissione di ciò, appunto, che ad altri era dovuto.

La querelle.

Dai giornali la querelle è ora passata sulle riviste specializzate e nell’ultimo numero di Belfagor (31 luglio 2000) è sceso in campo lo stesso Alain Segonds, noto studioso oltre che direttore generale de Les Belles Lettres (Aquilecchia interverrà quindi sul Giornale storico della letteratura italiana e Ciliberto sulla Rivista di storia della filosofia). Ma non di questo intendo qui parlare.

Giovanni Mariotti.

Giordano Bruno Ugo DottiDopo lo scritto di Segonds, Giovanni Mariotti, sul Corriere della sera, ha cercato di bilanciare i pro e i contra dei due contendenti e ha tentato, salomonicamente, di emettere una sentenza equilibrata: da un lato avresti un editore «accademico» (Les Belles Lettres) che fa della qualità il proprio fiore all’occhiello; dall’altro, com’egli si esprime, “un grande editore popolare quale la Mondadori» che ha obiettivi e logiche diverse, vale a dire, se ben intendo, vendere e incassare.

Tant’è che, come ha affermato Ciliberto, il suo Giordano Bruno avrebbe «tagliato le gambe» all’avversario avendo già tirato due edizioni e venduto cinquemila copie.
Questo registro del dare e dell’avere connesso col furto (giuridicamente legittimo) dell’edizione critica di un’opera così difficile e problematica come quella di Giordano Bruno, lascia davvero sconcertati.

Esso infatti solleva, come dicevamo all’inizio e come ha icasticamente precisato Alain Segonds nel suo intervento su Belfagor, una sola questione; e tale questione è essenzialmente di natura morale. Chi ha speso gran parte della propria attività di studioso per restaurare un testo significativo della cultura del passato o anche soltanto chi abbia letto, in proposito, Petrarca o Poggio Bracciolini, Lorenzo Valla o Poliziano, conosce bene il piacere disinteressato che proviene da questo esercizio, insieme, di filologia e di disciplina morale. Ma lasciamo pure perdere siffatte considerazioni.

Non possiamo però trascurare almeno due circostanze. Che di siffatti studiosi si va sempre più perdendo la razza. Ed in secondo luogo, che di editori disposti a favorire il merito e la qualità se ne trovano sempre meno.

Ora, a quanto pare, Les Belles Lettres debbono pure subire lo sbeffeggio delle cinquemila copie vendute dall’editore «popolare» italiano. Tra la vanagloria e la gloria – sentenziava Agostino – c’è questa differenza: la prima poggia sull’effimero giudizio degli uomini; la seconda sul profondo consenso della coscienza.

UGO DOTTI

“Elogio della filologia, contro i pedanti e gli incompetenti”

“Da Giordano Bruno agli articoli di giornale: non è vero che risalire alle fonti sia uno svago per iniziati”

Un titolo del Corriere del 13 agosto («Leggete Giordano Bruno. E lasciate perdere la filologia») mi induce a riflettere su un luogo comune. La «filologia» come pedanteria, come lussuoso svago per iniziati (è l’analogo dell’altro pregiudizio, secondo cui la «filosofia» sarebbe a sua volta la palestra per le superflue astruserie di alcuni «diversi»).

Ma torniamo alla filologia. Caricata di significati in fondo negativi ed iniziatici, questa parola suscita impressioni sgradevoli nel cosiddetto «senso comune». E tale maniera di parlarne non solo la rende odiosa e sconosciuta insieme, ma costituisce l’alibi per la gioviale difesa della cialtroneria. Vorrei dedicare perciò qualche riga all’elogio della «filologia».

Strumento senza il quale neanche la lettura del giornale quotidiano diviene operazione consapevole. Comprendere, ad esempio, secondo quale criterio un articolo che comincia in prima si spezza e séguita in pagine interne (e non certo in una pagina qualunque, scelta a caso). Comprendere perché i titoli non corrispondono necessariamente al contenuto degli articoli in cima ai quali figurano. Perché talvolta li «smorzino» e talaltra li esaltino, distinguere quando la notizia viene data da un vero cronista «militante» (che va sul posto) e quando invece è rielaborazione di agenzie comodamente apparse sui monitor (e dunque già «fabbricate»): tutto questo non è operazione filologica? Lo è, ed è anche chiave indispensabile per la più pratica, la meno separata, la meno esclusiva delle azioni quotidiane: la lettura del giornale.

Girolamo Vitelli
Girolamo Vitelli – Filologo.

Scrisse una volta Girolamo Vitelli che si dà «filologia» anche da parte del matematico di fronte ai suoi simboli, o del chimico di fronte alle sue formule. Ed è spesso inosservata, proprio perché sotto gli occhi di tutti, la filologia in forza della quale un’orchestra lavora ed esegue il suo compito in rigorosa sintonia e sotto puntuale direzione.

Il senso comune, pur con le sue brutture, ha una grande forza: quella di imprimere concetti e pseudo-concetti nella mente di masse enormi di persone e per un tempo lunghissimo.

Adottiamo allora il linguaggio che può far breccia nel senso comune e diciamo che l’anti-filologia è sinonimo di incompetenza.

LUCIANO CANFORA