L’ennesima squallida storia!
Questa storia ha come protagonista un rappresentante del cosiddetto “mondo accademico”.
Il 29 agosto dello scorso anno al mio gruppo Facebook dedicato a Giordano Bruno si iscrive tal Germano Maifreda, il cui nome mi era noto per un saggio su Celestino da Verona. Lo accolgo facendogli notare di aver citato il suo lavoro in un mio articolo riguardante l’arresto e il processo a Bruno. Il Maifreda mi risponde dicendo di non averlo letto, al che gli fornisco il link per scaricarlo. http://www.guidodelgiudice.it/wp-content/uploads/2018/03/Arresto_GB.pdf
L’articolo.
Il mio articolo si basa sul libro da me pubblicato nel 2012 dal titolo “Io dirò la verità”, sottotitolo: “Intervista a Giordano Bruno”. Racconta in forma dialogica le vicende finali del processo. A questo punto il Maifreda non può non essere informato sia dell’articolo che dell’esistenza del mio libro. Dopo un mese esatto, il 29 settembre, il signor Maifreda annuncia sulla sua pagina facebook l’uscita del suo nuovo libro dal titolo “Io dirò la verità”, sottotitolo “Il processo a Giordano Bruno”!! Per giunta con una copertina che richiama nella scelta e nell’impostazione quella del mio. Complimenti per la fantasia!
Il gruppo Facebook.
L’iscrizione al gruppo era, dunque, stata fatta con l’evidente intento di sfruttare il canale per pubblicizzare l’uscita del volume. Operazione dal sapore provocatorio, poiché ben sapeva che un libro con lo stesso titolo e sullo stesso argomento era stato pubblicato, sei anni prima, proprio da me. Operazioni del genere non sono, purtroppo, una novità: il mio “Io dirò la verità” vanta più tentativi di imitazione della settimana enigmistica! Ci si aspetterebbe almeno, però, che uno che intitola un libro “Io dirò la verità” sfugga al paradosso di difenderlo ricorrendo a falsità. Falsità che sono state ovviamente cancellate dalla pagina Facebook. Ma, purtroppo per Maifreda, se una cosa non manca alla Rete è la memoria:
I commenti.
Ad una lettrice che gli fa notare l’evidente contraddizione, egli risponde così: “Al momento della stesura del mio libro non conoscevo (né ancora conosco) il libro del prof. Del Giudice. Ogni lettore potrà decidere se leggere il suo libro, il mio o entrambi, e li apprezzerà e giudicherà liberamente”. E ci mancherebbe pure! Aggiunge poi che “per fortuna in Italia esiste ancora la libertà di insegnamento e di ricerca universitaria”! Evidentemente egli ritiene che in questa libertà rientri anche il diritto di plagio! La legge sul diritto d’autore recita testualmente: “si può riprodurre il titolo di un’opera sopra un’altra senza il consenso dell’avente diritto (l’autore o il cessionario dei diritti) qualora esse siano di specie o carattere così diverse da risultare esclusa ogni possibilità di confusione” (art. 100 comma 3). Dovrebbe trattarsi cioè di un argomento inequivocabilmente diverso dall’altro e, decisamente, non mi sembra questo il caso.
L’editore Laterza.
Ancor più desolante è stata la risposta alle mie rimostranze dell’editore Laterza, che pure è un nome di prestigio nell’editoria filosofica, anche se non esente da logiche di controllo accademico. “Il titolo non è un’invenzione di fantasia (in questo caso ci saremmo ben guardati dall’utilizzarlo). Richiama invece – come Lei sa benissimo – le parole pronunciate dal filosofo Nolano agli inquisitori di Venezia all’inizio del processo.
Non è la prima volta che due volumi utilizzano una medesima celebre citazione. In questo caso, peraltro, il sottotitolo specifica la diversa natura dei due testi”. Ennesima falsità. Non è vero che i due testi siano di diversa natura. “Una nuova, avvincente e documentata ricostruzione” del processo al Nolano, come viene reclamizzata da Laterza, non può prescindere da quella da me fatta, nel 2012, proprio in “Io dirò la verità”. Ovviamente, però, non troverete traccia del mio nome nel libro di Maifreda, né in bibliografia né altrove. Invece, ovunque ricorre, con attestazioni di smodata piaggeria, il nome del deus ex machina di tutta questa operazione: il califfo di Palazzo Strozzi.
Il signor Maifreda.
Maifreda, prima d’ora, con Bruno non aveva mai avuto nulla a che fare. I suoi campi d’interesse erano l’economia e la storia dell’industria. Ha cominciato ad occuparsene con un saggio su Celestino da Verona, pubblicato, guarda caso, dalle Edizioni della Normale di Pisa, feudo di Michele Ciliberto. Maifreda non avrebbe mai potuto pubblicare il suo libro con Laterza senza l’assenso di Ciliberto. Un costume tutto italiano quello per cui gli editori, non essendo ovviamente conoscitori della materia, si affidano per le scelte editoriali al giudizio insindacabile dei docenti universitari della materia.
La Normale di Pisa.
Alla Normale, come alla Laterza, e in decine di altre case editrici non si pubblica nulla su Bruno senza il placet di costui. Lo sanno bene anche altri professori che, per esserselo fatto nemico, hanno dovuto ricostruirsi una carriera all’estero. Così, in Italia, ogni volta che si parla di Bruno, in libri, riviste, giornali, supplementi ai quotidiani, cd, dvd, documentari e programmi televisivi e chi più ne ha più ne metta, dobbiamo sorbirci il pistolotto sempre dello stesso personaggio. La sua tattica è ormai nota: appena si accorge dell’uscita di qualcosa di potenzialmente interessante su Bruno, attira l’ignaro con lusinghe e promesse e lo mette al proprio servizio, in cambio della protezione della casta.
Aquilecchia.
Ha fatto questo per decenni con le sue collaboratrici, che sono quelle che hanno realizzato il 90% delle opere da lui firmate, a parte il meridiano plagiato nel 2000 a Giovanni Aquilecchia e le decine di introduzioni. Non a caso, il suo “Teatro della vita” è una delle peggiori biografie bruniane mai scritte, zeppa di imprecisioni in quanto, pur validissimo nella interpretazione di alcune tematiche bruniane, il suo contributo personale di ricerca è stato pressoché nullo. La biografia è infatti impiantata su quanto riportato da altri, o fornito dalle sue assistenti, non sempre profonde conoscitrici delle vicende biografiche.
Quello di Maifreda è l’esempio perfetto di questo modo di interpretare la storiografia bruniana. Un’ipotesi per certi versi anche interessante, come io stesso ho riconosciuto, è stata incorporata in una rielaborazione di fantasia del processo a Bruno, composta assemblando informazioni estratte dai principali studi sull’argomento (compreso, naturalmente, il mio). Tutta questa vicenda non è altro che lo specchio del desolante panorama culturale italiano e del malcostume mafioso che imperversa nelle università.
Conclusioni.
Una degenerazione che vado denunciando da anni con dovizia di particolari (chi vuole può andare a leggersi le mie “mordacchie” precedenti), ma questi sono senza vergogna: “Che ci frega, siamo accademici noi, che vuole questo?!” Fortunatamente la fama e il rispetto che mi sono guadagnato con i miei studi su Giordano Bruno non sono dovuti a squallide manovre del genere, bensì al consenso ottenuto dal pubblico degli appassionati e degli studiosi grazie alle mie pubblicazioni e alla mia attività divulgativa.
Guido del Giudice