“Spia e doppiogiochista a caccia di cattedre universitarie”- di Pierluigi Panza “Corriere della sera”- martedì 30 agosto 2005

Spia e doppiogiochista a caccia di cattedre universitarie per l’Europa o filosofo della natura che pagò con la vita la sua indifferenza alle fedi religiose? Che Giordano Bruno finisca periodicamente sotto processo è iscritto sia nel Dna del suo pensiero, che si muove in quell’«universo delle somiglianze» (Foucault) in cui è implicita la molteplicità delle interpretazioni, sia nel tragico epilogo della sua vita errabonda: arso vivo a Roma in Campo de’ Fiori il 17 febbraio 1600 per sentenza della Congregazione del Santo Uffizio sotto papa Clemente VIII. Questo ha reso oggi l’autore del De vinculis un «nodo» che si ingarbuglia appena si toccano i temi del libero pensiero e del rapporto tra Scienza e Chiesa.
Il caso-Bruno, che oggi viene riaperto dalle opposte posizioni di Francesco Agnoli – per il quale la fama di Bruno è «dovuta al fascino della sua morte, più che alla sua produzione culturale» – e Nuccio Ordine – secondo cui «Bruno è un vero libero pensatore sino al sacrificio della vita» – inizia nel 1964, quando Frances A. Yates pubblicò un libro illuminante: Giordano Bruno e la tradizione ermetica . Da allora il filosofo di Nola ha diviso gli intellettuali in schieramenti e moltiplicato la sua diffusione: ne è un esempio la traduzione in cinese che Lea Hiang (con l’Istituto per gli Studi filosofici di Napoli) ha appena concluso della Cabala del Cavallo Pegaseo, o l’uscita, in settembre, della prima edizione giapponese de La Cena de le Ceneri.
Ma mentre Bruno va in giro per il mondo, in Italia continua la controversia. Qui una «libera» lettura della Yates ha dato origine a interpretazioni che hanno fatto di Bruno ora una spia ora un doppiogiochista. È la tesi espressa da John Bossy in Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata (ripresa da Richard Newbury) e ora, diversamente, da Francesco Agnoli, docente a Trento, su Il Foglio del 18 e 25 agosto. «Processato dai protestanti, prima che dai cattolici, il filosofo-mago fu campione del doppio gioco. La sua fama è dovuta al fascino della sua morte più che alla sua produzione culturale». Vagò per l’Europa – da Oxford a Praga – alla disperata ricerca di una cattedra, sostenendo tesi per opportunismo, usando Calvino, Lutero e la magia come «armi nel suo scontro con la Chiesa». Salvo, in altri casi, «auspicare che Lutero e i suoi seguaci fossero sterminati come locuste».
Questo Bruno, che ha tratto fama più dall’opposizione al cristianesimo che dal suo pensiero, è un tema che era emerso anche in un libro del 2002 di Anna Foa, Giordano Bruno (Mulino), nel quale si mostrava come il filosofo fu riscoperto solo nell’Italia risorgimentale per farne un santo martire del libero pensiero contro l’oscurantismo religioso. Sono tesi inaccettabili per Nuccio Ordine, curatore dell’edizione italiana Utet delle opere bruniane e cerniera tra l’Italia e l’Istituto Warburg di Londra per gli studi sull’autore. «C’era da aspettarselo – dice -. Dopo un acceso dibattito estivo sui rapporti tra fede e scienza, verità assoluta e relativismo non poteva mancare un riferimento a Bruno. Agnoli ha proposto un fantasioso ritratto del filosofo: pronto a ogni compromesso per ottenere cattedre e potere, che non esita a fare la spia, a passare da un culto all’altro, a tradire i suoi benefattori, a vendere i segreti della magia, a scrivere trattati per “soggiogare il prossimo”. Bastava leggere una buona biografia e le opere di Bruno per evitare di rilanciare tanti luoghi comuni privi di ogni fondamento.
In un’Europa lacerata dalle guerre di religione e popolata da cortigiani disponibili a ogni servilismo, è raro trovare un pensatore che rinunci a qualsiasi privilegio per esprimere liberamente le sue idee, fino al sacrificio della vita.
A Ginevra, a Oxford, a Parigi, il Nolano non esita a scontrarsi con le autorità. E lo fa al duro prezzo della fuga e dell’esilio. Così come l’elogio di Lutero tessuto a Wittenberg è solo apparentemente in contrasto con le posizioni antiprotestanti dello Spaccio . Bruno non “cambia casacca”, ma ribadisce la sua indifferenza ai culti: per il nostro filosofo, la religione ha solo una funzione civile. La colpa però non è solo di Agnoli, ma anche dei due o tre cattivi libri di cui si è servito». Quanto alla Foa, attacca Ordine, «ha sbagliato persino a leggere i frontespizi di due libri di Bruno, che lei dice pubblicati a Venezia e Parigi invece furono editi a Londra». «Millantatorie», insomma.
In sostegno di Ordine viene l’epistemologo Giulio Giorello, che con Michele Ciliberto (autore nel 1990 della monografia Giordano Bruno , Laterza), appartiene a quella galassia di studiosi che vedono in Bruno un anticipatore della Scienza moderna. «Si cerca di sporcare la figura di Bruno con questi pettegolezzi da filosofia vista dal buco della serratura», afferma. «Della sua fine devono rispondere i cattolici, che dopo quattro secoli non hanno fatto autocritica». Tante divergenze si spiegano, tuttavia, anche in ragione di una filosofia a tratti oscura, il cui metodo, pare quello che lo stesso Bruno indica (nello Spaccio della bestia trionfante del 1584 dedicato a Philip Sidney, puritano inglese) esser usato dalla Fortuna: «Io sono una giustizia che non ho da distinguere, non ha da far differenze, … cossì ho da ponere tutti in certa equalità, stimar tutti parimente». Ermetico.

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