Spulciature

In Indonesia, da tempo, si sta facendo una deforestazione selvaggia per innestare le nuove coltivazioni delle palme da olio. Questo avviene a spese della indifesa popolazione di oranghi che vivevano pacificamente spostandosi ondeggianti da un albero all’altro. Orangutan, in lingua locale, significa “persona dei boschi”, ed essi sono veramente simili a noi, non solo per la taglia. Ponga è una femmina che è rimasta sola, senza più il compagno ed i piccoli, con pochissimi alberi dove rifugiarsi. Ogni mattina discende e, muovendosi a balzelloni laterali attraverso le stoppie, le lunghe braccia alzate, come in una antica danza contadina,  raggiunge l’unico posto tranquillo rimasto, una fattoria dove è diventata amica dell’anziano agricoltore. In segno di gratitudine, per la frutta che lui le dona, gli toglie delicatamente il berretto e poi fruga con metodo tra i suoi capelli in cerca di fastidiosi insetti, mostrando affetto familiare. Indi passa a spulciare, sempre con professionalità e delicatezza, i numerosi cani della fattoria che l’aspettano, contenti, a zampe all’aria. Alle due, puntualmente, esaurite le incombenze, ritorna a quel che resta della foresta.

Tutti conoscono il proverbio Mettere una pulce nell’orecchio, ovvero (secondo la definizione del dizionario Alberti) dire una cosa che tenga in confusione e dia da pensare, fastidio che proviamo spesso quando ci imbattiamo in corbellerie (corbelleria, sempre secondo l’Alberti, vale scempiaggine, voce usata per coprire le altre meno che oneste, coglioneria, minchionata) sparse nei testi disinvoltamente.

Prendiamo pertanto esempio dal povero animale assediato, per inaugurare un servizio di spulciature di testi i cui autori non sono cani sciolti ma detentori, non solo di notorietà e soldi, ma, non di rado, anche di cattedre, esercitando il potere su tutto quanto si trova nei loro cortili.

Cerchiamo così, scorrazzando nelle selve letterarie, di opporci alla dilagante desertificazione in atto delle foreste più nobili a favore delle produzioni industriali consolidate che garantiscono facili guadagni a scapito di tutto il resto.

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Ha detto recentemente Philippe Daverio che non c’è più alcuna autorità culturale che vigili sulle “fesserie” (eufemismo) che si pubblicano. In tal modo trovano risonanza (tra le pelli d’asino per tamburi) affermazioni e teorie che fino a non molto tempo fa si sarebbero guadagnate la sottolineatura in blu o in rosso nelle scuole elementari, e che talvolta disgraziatamente assurgono a capisaldi di pensiero dettando legge per decenni. Abbiamo pertanto ritenuto di segnalare con questa rubrica, aperta a tutti, le storture provenienti da “cervelli increspati” (definizione di Anacleto Verrecchia), che condizionano pesantemente il sapere. Il nostro non è un intento di censori o pedanti (sarebbe il colmo parlando del Bruno!) ma una rivisitazione bonaria e ironica per difendere il Bruno, che non può farlo, dagli “insulti” che ancora gli piovono addosso.
Nei casi più lievi ci limiteremo a fare come gli antichi spartani: esporremo sul Monte Taigeto i parti più debolucci, segnalando coloro che vagiscono ancora in età adulta, emettendo un suono fesso.
Nei più gravi, accompagneremo personalmente sin sul bordo della Rupe Tarpea coloro che, in buona o malafede, hanno danneggiato il Bruno, così come facevano gli antichi romani con i traditori. In entrambi i casi, i lettori saranno liberi di scegliere, attraverso un sondaggio, se assolvere, graziare permettendo al pupo di crescere, o dare, tutti insieme, una piccola spinta. 

Gianmario Ricchezza

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