Frances Amelia Yates

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Ha detto recentemente Philippe Daverio che non c’è più alcuna autorità culturale che vigili sulle “fesserie” (eufemismo) che si pubblicano. In tal modo trovano risonanza (tra le pelli d’asino per tamburi) affermazioni e teorie che fino a non molto tempo fa si sarebbero guadagnate la sottolineatura in blu o in rosso nelle scuole elementari, e che talvolta disgraziatamente assurgono a capisaldi di pensiero dettando legge per decenni. Abbiamo pertanto ritenuto di segnalare con questa rubrica, aperta a tutti, le storture provenienti da “cervelli increspati” (definizione di Anacleto Verrecchia), che condizionano pesantemente il sapere. Il nostro non è un intento di censori o pedanti (sarebbe il colmo parlando del Bruno!) ma una rivisitazione bonaria e ironica per difendere il Bruno, che non può farlo, dagli “insulti” che ancora gli piovono addosso.
Nei casi più lievi ci limiteremo a fare come gli antichi spartani: esporremo sul Monte Taigeto i parti più debolucci, segnalando coloro che vagiscono ancora in età adulta, emettendo un suono fesso.
Nei più gravi, accompagneremo personalmente sin sul bordo della Rupe Tarpea coloro che, in buona o malafede, hanno danneggiato il Bruno, così come facevano gli antichi romani con i traditori. In entrambi i casi, i lettori saranno liberi di scegliere, attraverso un sondaggio, se assolvere, graziare permettendo al pupo di crescere, o dare, tutti insieme, una piccola spinta. Valens Acidalius

Frances Amelia Yates

Cominciamo con l’occuparci di Frances Yates (1899/1981) autentico “mostro sacro” degli studi sul Rinascimento, intendendo l’espressione nel senso latino: monstrum = qualcosa che appare al di fuori della consuetudine, che si rivela; sacer = ciò che è consacrato agli dei e diventa oggetto di culto. Che la ricercatrice inglese sia stata (e lo è ancora a volte) oggetto di culto non ci sono dubbi. Sarebbe ingeneroso non riconoscere i suoi contributi allo studio della tradizione ermetica e altri spunti originali (saccheggiati da tanti epigoni senza citarla), come quelli su John Florio e su una possibile raffigurazione del Bruno da parte di Shakespeare nell’opera Pene d’amor perdute. Purtroppo, però, l’ostinazione della Yates nel voler inquadrare il Bruno in un telaio sghembo senza averlo compreso, ha portato a decenni di fraintendimenti e ritardi negli studi. Che non abbia compreso il Bruno non siamo noi a dirlo ma lei. Nella sua autobiografia, incompiuta (rileviamo per inciso che neanche Schopenhauer ha mai ritenuto di scrivere una autobiografia), racconta: (1931) Come tutti gli altri studenti del tempo, non avevo la più pallida idea riguardo al pensiero rinascimentale (pag.207); e la studiosa, onestamente, giudica che nello studio sul Florio (scritto due anni prima) i passi dedicati al Bruno sono molto immaturi (206); così, parlando dello studio sull’opera di Shakespeare (1936), ammette che la Yates di quei tempi non sa quasi nulla circa Giordano Bruno (214), e “in quei tempi” ha l’età di 37 anni; ma, improvvisamente, dalla lettura della Cena delle Ceneri, le arriva l’illuminazione: Quel curioso testo, con la sua illuminata accettazione di Copernico, non sembrava affatto ciò che ci si aspetta da un filosofo appena sbucato dal medioevo (215/6); in effetti, “appena sbucati” dal medioevo, non ci si può aspettare un Rinascimento. A questo punto, colpita dalle “stranezze” del Bruno, invece di pensare che possa trattarsi di uno spirito non confinabile nella sua epoca (come  sono i geni) inquieta perché sente che qualcosa non le quadra, cerca di trovare una chiave per ricacciare il filosofo nel medioevo, dal quale usciva sfrontatamente, e la trova nella magia. Da quel momento, quasi ogni pagina della Yates si compiace di abbinare il nome del Bruno alla categoria magica (semplificata per di più nel nostro generico senso moderno) rovesciando in banalità la gigantesca e solitaria lotta del Bruno contro l’ignoranza. Intendiamoci: che quei tempi fossero intrisi di superstizioni è chiaro, basta leggere Agrippa, citato varie volte dal Bruno; ma lo sono ancora i tempi nostri, dove l’ignoranza dilaga ad ogni livello e gli imbroglioni alla Edward Kelley si sprecano, riuscendo a vendere a caro prezzo chili di sale “miracoloso” a poveracci creduloni. Riconosciamo inoltre alla Yates la buona fede e gli interessanti risultati conseguiti nel rintracciare una tradizione ermetica. Ma non si può affermare che La filosofia e la religione sono in Bruno una stessa cosa ed entrambe di tipo ermetico (113), riducendo il pensatore a un vaneggiatore e sconfessando le stesse parole del Bruno con la sua suprema rivendicazione di voler parlare da filosofo e non da religioso! Neanche la Chiesa arrivò a tanto: non contestò al Bruno idee e comportamenti da mago, avendo compreso che era molto più pericoloso come pensatore autonomo e rivendicatore di una libertà dai suoi condizionamenti; la inglese invece scrive: è molto probabile che egli sia stato arso vivo come mago (108). E scivola nelle inesattezze: La religione “egiziana” di Bruno includeva la credenza nella metempsicosi, che egli trasse ugualmente dagli scritti ermetici (110), la trasse invece da Pitagora – lo dice lui – e Platone. Tante osservazioni utili vengono oscurate dalla lettura superficiale del filosofo da lei forzato in uno schema preconfezionato, per cui la Cena delle Ceneri diventa: una cena mistica che sfugge alla definizione razionale (35); Questa cena è piena a tal punto di elementi confusi … che è meglio considerarla alla stregua di una descrizione magica e allusiva (279). Non va meglio con la Cabala del cavallo pegaseo, della quale afferma: mostra l’adattamento che Bruno fa della cabala ebraica (106); e, sempre con serafica incomprensione: L’asino di questi dialoghi, ci viene detto, è lo stesso che la bestia dello Spaccio, che ancora una volta riassume il suo posto e ruolo nei cieli. Non ho mai trovato una spiegazione soddisfacente di questo problema (131).  Abbondano le affermazioni spericolate, del tipo: Che la disputa sulla teoria copernicana sia anche una disputa sulla Messa può essere finalmente dimostrato dalla seguente citazione (36) e cita il divertente passo del Bruno nella Cena, di risposta alla domanda dell’inglese Torquato su dove si trovasse l’auge del sole (sopra il campanile di San Paolo risponde il filosofo) che è di grande ironia, da lei nemmeno intravista. La vede, invece, a modo suo: La satira di Bruno è naturalmente impregnata di una forma mistica e cabalistica che richiama astruse opere sull’occultismo e sulla magia (132). Non capire quando Bruno è ironico, o sarcastico, rivela che lo studioso è limitato, e porta a prendere solenni cantonate. Altra affermazione quanto meno curiosa della Yates: L’insistenza del Bruno sul fatto … che la teoria copernicana non è semplicemente una formula vuota, è la traduzione in termini filosofici della sua visione del Sacramento altamente mistica e di fatto magica (38). Tutto viene ricondotto alla magia, persino il fatto che Bruno inveisca contro i pedanti grammatici, incapaci di comprendere le superiori attività del mago (183). E nella sarabanda dell’Apprendista stregone viene coinvolto anche il povero Tommaso Moro; scrive infatti la Yates: Secondo me, c’è una influenza ermetica in questa descrizione della religione praticata dai più saggi abitanti di Utopia (208); si salva, per fortuna, il miglior amico del Moro, Erasmo: Nel clima erasmiano la magia non avrebbe potuto far conto sulla fiducia, o sulla credulità, che sono tanto necessarie al suo successo. Ed anche Erasmo, nelle sue lettere, scrive spesso di non dare alcun peso alla cabala (186). Perché mai allora avrebbe dovuto dar peso a magia e cabala il Bruno che venerava e citava Erasmo? Questo la Yates non se lo chiese, restando arroccata sulle sue idee, né fece attenzione alle stroncature feroci della magia intesa in senso popolare che il Bruno fa nel Candelaio; men che meno notò l’analisi, lucida e moderna, dei vari tipi di magia fatta dal Bruno nel De Magia (ma l’avrà letta?).

A questo punto, dopo aver soppesato pregi e difetti della Yates; tenuto conto dell’influenza che ha esercitato su tanti che ne hanno accolto acriticamente il pensiero; aver constatato che ha segnato pesantemente la nostra epoca, che già tende a considerare più furbetto solo chi è nato dopo e a compiacersi della inversione dei valori, indichiamo il sentiero che porta in cima alla rupe.

Nota: le citazioni sono tratte dalle opere: 1) Giordano Bruno e la cultura europea del Rinascimento, Laterza, 2006, che è una raccolta di nove saggi dal 1938 al 1981, le cui pagine sono indicate in corsivo; 2) Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza 2004 (uscita a Londra nel 1964) le cui pagine sono indicate in carattere normale.

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