“Nemici miei: ultimo atto”
“Non vorrei intanto che, come in tempo d’inondazione, gli stronzi degli asini dissero ai dorati frutti:”Siamo anche noi pomi che galleggiamo”, così a qualunque stolto o asino sia lecito ragliare all’indirizzo dei nostri argomenti, presentati qui o altrove, in questo o in altro modo”.
di Guido del Giudice
Non è certo un caso che, in concomitanza con la morte di Gerardo Marotta, e il conseguente scoppio della guerra di successione alla guida dell’Istituto Studi Filosofici, il gruppo di Nuccio Ordine pubblichi a firma di Roberto Bondì, un nuovo attacco alla paranza nemica di Palazzo Strozzi. Il vecchio cartello “aquilecchiano” si è evidentemente ricompattato, per dare l’assalto a ciò che resta del glorioso istituto napoletano. E’ comparso, infatti, on-line un articolo dall’eloquente titolo: “Il monumento di Giordano Bruno a Michele Ciliberto” (chi fosse interessato può leggere direttamente lo scritto a questo link). Si tratta dell’ennesima puntata della fiction, iniziata nel 2000, sulla spartizione dei finanziamenti per il 4° centenario del rogo. Tra vendette personali e accuse di plagio (l’armamentario solito delle faide accademiche) lo scontro portò alla formazione dei due gruppi rivali, facenti capo a Michele Ciliberto e Nuccio Ordine. La squallida lotta di potere politico-accademica si è trascinata in questi anni, con i due contendenti che hanno utilizzato senza scrupoli i mezzi a propria disposizione (testate giornalistiche, riviste letterarie, istituzioni culturali e politiche). Non è il caso di ripetere qui tutta la storia: chi mi segue da tempo sa di cosa parlo. Ho già avuto modo di esprimere il mio giudizio sull’operazione “enciclopedia bruniana”. L’idea di sistematizzare, con una metodologia di tipo illuministico, un pensatore la cui grandezza risiede nell’intuizione e nella visione istintiva, può nascere soltanto dalla consueta pretesa di imprimere un sigillo di possesso, da parte di pedanti avvezzi a tener distinto il lessico dal pensiero. Perciò non entro nel merito delle contestazioni mosse a Ciliberto in questo nuovo articolo, anche se esse mi sembrano talmente pretestuose da ispirare fastidio anche quando colgono nel segno. Il Ciuccio rimprovera al Mulo di avere le orecchie troppo lunghe! E’ francamente paradossale che gli “aquilecchiani” fingano di scandalizzarsi perché quelli della loro fazione non sono stati citati nell’opera, quando da 15 anni entrambe le parti applicano la congiura del silenzio nei confronti del sottoscritto. Per carità, si può non essere d’accordo con le mie interpretazioni, criticare le mie traduzioni, mettere in dubbio le mie scoperte, ma è assolutamente impossibile o disonesto fingere d’ignorarne l’esistenza. E questi, con la faccia come il…lato B, si lamentano di non essere stati citati! Ma per cosa? Cosa hanno prodotto di veramente innovativo su Bruno in questi anni? Se avessero realizzato la centesima parte di quel che ho fatto io, avrebbero stampato decine di saggi, pubblicato centinaia di recensioni su riviste letterarie e giornali. E si meravigliano che l’ enciclopedia non citi il nome di qualcuno dei firmatari del manifesto anti-Ciliberto del 2000 o che, in risposta alle critiche rivolte al “pensiero unico cilibertiano”, il partito del califfo di Palazzo Strozzi metta in evidenza che l’unico contributo di Nuccio Ordine all’ecdotica Bruniana è un saggio sull’asinità pubblicato 30 anni fa e che perfino il titolo della sua autobiografia, “L’utilità dell’inutile”, è plagiato dal testo del filosofo francese Thierry Paquot. Dal canto suo, nel 2010 Ciliberto fece realizzare ad una sua allieva una bibliografia bruniana aggiornata, in cui erano stati inseriti, a bella posta, lavori di cani e porci, tranne i miei. Nemmeno quelli per i quali lo stesso Ciliberto aveva scritto la prefazione, prima che, avendo dato fastidio alla casta, decretasse il mio rogo “in effigie” (chi vuole può leggere il mio commento a quella porcata). Cosa ancor più ridicola, schiere di professorucoli di second’ordine, di mezze calzette allevate negli scantinati delle università, aizzati dai loro padroni, si sentono in diritto di emettere giudizi su cose che nemmeno conoscono. Addirittura uno di questi, che pure ha avuto la fortuna, senza trarne purtroppo alcun profitto, di essere allievo di un galantuomo come Aniello Montano, invitato ad un convegno qualche anno fa, accettò a patto che non ci fossi io! Evidentemente temono di essere svergognati, dopo che li ho sfidati più volte a pubblica disputa. Con questa gente meglio averci a che fare il meno possibile! Sono “quei mercanti di cattedre prezzolati dallo Stato”, di cui parlava Schopenhauer, “i quali debbono vivere sulla filosofia con moglie e figli, e la cui parola d’ordine è quindi primum vivere deinde philosophari, mercanti che di conseguenza hanno preso possesso della piazza e già si sono presi cura che quivi nulla abbia valore se non quanto essi fanno valere, e che quindi esistono meriti solo in quanto piaccia a loro e alla loro mediocrità di riconoscerli”. Costoro non vogliono ammettere di essere stati ormai superati dalla storia. Oggi devono rendere conto ad un pubblico molto più vasto di quello rinchiuso e sfruttato nelle aule universitarie. Ricerca, studi e pubblicazioni rimangono fondamentali, ma essi sono ormai accessibili ad un pubblico molto più vasto e preparato, che chiede di essere guidato, illuminato, e non passivamente indottrinato. La crociata del Nolano contro l’ ”abitudine a credere” è stata vinta, ma costoro ancora non se ne sono accorti! Chi si ostina a non capire che il web, i social, con tutti i loro difetti (e sapete bene come io mi batta contro i pericoli della falsa informazione), costituiscono il nuovo palcoscenico su cui anche la filosofia deve confrontarsi, vive fuori dal mondo. Meglio i convegni-passerella con decine di presunti esperti bruniani cinesi o giapponesi o le centinaia di appassionati che hanno commentato il 17 febbraio le mie pagine, esprimendo attivamente il loro sentimento? Purtroppo la bestia tricipite accademia-politica-editoria continua a riproporre stancamente ogni anno sempre le stesse cose, sempre le stesse facce, che ripetono sempre lo stesso copione. Sono quelli che già Giordano Bruno aveva caratterizzato come “sordidi e mercenari ingegni, che, poco o niente solleciti circa la verità, si contentano saper, secondo che comunemente è stimato il sapere, amici poco di vera sapienza, bramosi di fama e reputazion di quella, vaghi d’apparire, poco curiosi d’essere”.
John Bossy
Ha detto recentemente Philippe Daverio che non c’è più alcuna autorità culturale che vigili sulle “fesserie” (eufemismo) che si pubblicano. In tal modo trovano risonanza (tra le pelli d’asino per tamburi) affermazioni e teorie che fino a non molto tempo fa si sarebbero guadagnate la sottolineatura in blu o in rosso nelle scuole elementari, e che talvolta disgraziatamente assurgono a capisaldi di pensiero dettando legge per decenni. Abbiamo pertanto ritenuto di segnalare con questa rubrica, aperta a tutti, le storture provenienti da “cervelli increspati” (definizione di Anacleto Verrecchia), che condizionano pesantemente il sapere. Il nostro non è un intento di censori o pedanti (sarebbe il colmo parlando del Bruno!) ma una rivisitazione bonaria e ironica per difendere il Bruno, che non può farlo, dagli “insulti” che ancora gli piovono addosso.
Nei casi più lievi ci limiteremo a fare come gli antichi spartani: esporremo sul Monte Taigeto i parti più debolucci, segnalando coloro che vagiscono ancora in età adulta, emettendo un suono fesso.
Nei più gravi, accompagneremo personalmente sin sul bordo della Rupe Tarpea coloro che, in buona o malafede, hanno danneggiato il Bruno, così come facevano gli antichi romani con i traditori. In entrambi i casi, i lettori saranno liberi di scegliere, attraverso un sondaggio, se assolvere, graziare permettendo al pupo di crescere, o dare, tutti insieme, una piccola spinta. Valens AcidaliusJohn Bossy
York, Inghilterra settentrionale. Proiettori illuminano i resti spettrali di un castello che si stagliano contro il cielo nero. Si ode il crócido di alcuni corvi che fuggono le tenebre incipienti. Dalle luci salgono vapori che si agitano nell’aria come fantasmi. Passi solitari echeggiano sul lastricato di un’antica stradina mentre, dal buio che avvolge le case in pietra, sembra emergere un oscuro figuro incappucciato; dal mantello aperto proviene un luccichio rivelando la presenza di una croce. All’improvviso, una mano impugna la croce e ne cava la lama terribile di uno stiletto! Un’apparizione, certo, ma in questa cittadina le gelide sere autunnali possono generare potenti fantasie. A York è nato, nel 1933, il docente di storia John Bossy che, nel suo libro Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata ° ha costruito una teoria che farebbe del Bruno nientemeno che una perfida spia, dalla risata sarcastica. Calandosi tra antiche carte ingiallite, emergenti da polverosi archivi, ha rinvenuto numerosi documenti sulle attività di spionaggio nel ‘500. Ma cerchiamo di fare un piccolo riassunto scusandoci per le inevitabili approssimazioni. Alla fine di marzo del 1583 Bruno si era recato dall’ambasciatore inglese a Parigi (aveva chiesto un visto, diremmo oggi) che ne aveva preavvisato l’arrivo al segretario e capo della sicurezza della Regina, Francis Walsingham, in termini non certo lusinghieri, presentandolo come «un professore di filosofia la cui religione non posso raccomandare». Era giunto a Londra ad aprile inoltrato, trovando alloggio nell’ambasciata di Francia grazie alle credenziali che Enrico III gli aveva concesso. Il periodo è tra i più intricati, per la lotta tra cattolici e riformati, i continui spostamenti di fronte e di alleanze, gli intrighi per il potere all’interno della Corte di Elisabetta I, sempre impegnata a tenere a bada i pretendenti. In questo guazzabuglio, Bossy ritiene di poter identificare l’autore di alcune informative di spionaggio in Giordano Bruno, che a Londra non aveva certo tenuto una condotta defilata, come ci si aspetterebbe da una spia, ma era riuscito ad agitare ancor più le acque intorno alla sua persona.
Il professore, con la tesi Bruno=spia crea un fuoco d’artificio, in tutti i sensi, con botti e vampate che formano una Sinfonia fantastica in cui il direttore d’orchestra perde spesso di vista la partitura, con risultati paradossali. Ma lasciamo la parola all’inglese. Il 20 aprile 1583 arrivò sulla scrivania di Sir Francis Walsingham il primo di una serie di interessanti messaggi… da un certo Henry Fagot (pag.33). Altra lettera segue la settimana dopo ed il solerte professore, analizzando i testi, rileva che l’autore non era francese… penso che sia piuttosto facile dimostrare che Fagot era un italiano… cade in italianismi e l’unica altra lingua della quale dà prova di subire l’influenza è lo spagnolo (36). Afferma poi che il nostro uomo era un prete: in lettere successive lo troviamo mentre ascolta una confessione, discute con il successivo ambasciatore delle sue esperienze di sacerdote a Londra (37). Basterebbe questa osservazione per tagliare la testa al… prete, perché sappiamo che il Bruno, spretato da tempo (e la cosa era nota), non avrebbe potuto dir messa o confessare senza incorrere in gravi conseguenze; mentre sappiamo che all’Ambasciata francese, come del resto in quella spagnola, vi erano già dei religiosi per officiare; lo stesso Bossy ci informa (37) che in una lettera del Duca d’Angiò a Elisabetta, sicuramente non posteriore al 1582 (ben prima quindi dell’arrivo del Bruno), si parla di “un piccolo prete di Mauvissiere” (l’ambasciatore Castelnau). Ma troppa è la fregola dell’autore per la presunta scoperta di supposti altarini del Bruno per non seguitare a deliziarci con spericolate deduzioni.
L’ambasciata francese assomigliava parecchio al nostro odierno parlamento, frequentata com’era da molti personaggi che facevano dell’intrigo la loro professione; tra i principali: William Fawler, scozzese, sedicente protestante ma al soldo dei francesi, William Herle, che lavorava per Castelnau, Francis Throckmorton, congiurato poi scoperto e decapitato dalla Regina, l’ambiguo Lord cattolico Henry Howard, molto inquietante già in effigie (a pag.145). Tra i residenti, il pretino e il segretario; afferma Bossy: non c’era dubbio che il segretario (Nicolas Leclerc seigneur de Courcelles) era diventato una talpa al servizio di Walsingham e Fagot poteva vantare il merito di averlo reclutato (39); secondo l’equazione Fagot=Bruno dobbiamo fare i complimenti al filosofo per il tempo brevissimo (pochi giorni) impiegato a inserirsi nell’ambiente e a reclutare spie, anche di rango. Il resto del personale dell’ambasciata non era da meno, quanto a intrallazzi, seppure dilettanteschi: secondo il Bossy, trafficavano in arredi sacri, libri e armi, il cantiniere, uno dei cuochi, lo spedizioniere e il portinaio. Ci viene il sospetto che anche i chierichetti, durante le messe, non si limitassero a stare ginocchioni ma comunicassero informazioni con i loro suffumigi, in stile pellerossa. In questo gioco di “chi spia chi” però è il Bruno, secondo il Bossy, a essere il migliore, per la sua funambolica duplicità e bravura; talmente bravo, osserviamo noi, che, alla fine della fiera, invece di ricavare soldi e onori dalla Regina, nel settembre 1585 viene imbarcato per scaduto gradimento insieme al Castelnau e rimandato senza troppi complimenti in Francia, dove avrebbe potuto correre il rischio di essere decapitato.
Sul filo delle intricate vicende relative alla ambasciata, Bossy, ritenendo di avere il bandolo della matassa, si aggroviglia ancora di più: Il problema che sorge dai documenti (ndr: dalle informative del Fagot) consiste nel fatto che Fagot e Bruno scrivevano con due calligrafie completamente diverse (103), ma poiché Bruno scriveva in almeno tre differenti calligrafie non dobbiamo stupirci che quando scriveva sotto il nome di Fagot fosse diversa (105). Il numero delle calligrafie, che si moltiplicano, non gli pone problemi, anche quando si trova davanti ad una missiva diversa, scritta parte in francese e parte in italiano: Siccome abbiamo già cinque differenti calligrafie del Bruno, comprese le due del Fagot (notare la logica) e tutte abbastanza diverse, non sembrerà molto difficile ipotizzarne una sesta (108). Anche se deve ammettere che i brani in italiano sono esecrabili e a giudicare dalle apparenze è inconcepibile siano stati scritti da un italiano… l’autore può quindi essere uno spagnolo (109) ciò lo porta a concludere che Fagot faceva ogni sforzo, a costo di cadere nel ridicolo, pur di dissimulare che la sua lingua madre era l’italiano (115).
Ma nel ridicolo ci casca a volte l’autore, come quando, parlando del mercoledì delle Ceneri, ha una visione in cui Bruno cosparse di cenere la fronte dei membri dell’assemblea e ricordò loro che erano polvere (134) o quando effettua voli a dir poco pindarici: E’ possibile, benché del tutto improbabile, che Bruno non conoscesse la differenza tra le dottrine di Lutero e Calvino; è però più probabile che ritenesse impossibile insegnarle in modo tale che le masse ignoranti potessero scorgervi una differenza (182); e aggiunge, diciamolo, onestamente: Arrivato a questo punto il lettore ha forse perso la pazienza (183), esattamente quello che è capitato a noi, che, parafrasandolo, osserviamo: é probabile, oltreché possibile, che l’autore qui batta i coperchi ed è improbabile, oltreché impossibile, che riesca a capirci qualcosa; come risulta dalla seguente affermazione: Tutto quello che Bruno scrisse di sé e quasi tutte le sue affermazioni autobiografiche, che sono state annotate, – ne sono quasi sicuro – devono essere considerate frutto di invenzione: sia i suoi scritti pubblicati che le sue apparizioni davanti agli inquisitori erano le rappresentazioni pubbliche, teatrali, di un personaggio nato dalla fantasia (169). Alla faccia dello Spampanato e di tutte le fonti storiche in generale.
Concludendo. L’unico elemento, secondo noi, che potrebbe avvicinare il Bruno al Fagot è l’ambivalenza della firma della spia: infatti compter fagots nel francese dell’epoca significava “contar frottole” e in inglese faggot (pronunzia fagot) “individuo spregevole”; la denominazione potrebbe essere stata appioppata al prete, alle cui messe presenziava, dallo stesso Bruno o dal suo amico John Florio.
John Bossy però qualche merito ce l’ha: ha individuato, riteniamo definitivamente, la collocazione dell’ambasciata in Salisbury Court; ha portato alla luce una interessante corrispondenza di spionaggio; non ha avuto una influenza nefasta come altri “esperti” del Bruno e risulta spesso divertente. Ci limitiamo pertanto a proporne l’esposizione alle raffiche di vento del Monte Taigeto, che gli rinfreschino le cellule grigie.
Ai lettori il giudizio finale.
° Garzanti Editore, 1992. A questa edizione si riferiscono le numerazioni delle pagine da cui sono tratte le citazioni riportate in corsivo.
Frances Amelia Yates
Ha detto recentemente Philippe Daverio che non c’è più alcuna autorità culturale che vigili sulle “fesserie” (eufemismo) che si pubblicano. In tal modo trovano risonanza (tra le pelli d’asino per tamburi) affermazioni e teorie che fino a non molto tempo fa si sarebbero guadagnate la sottolineatura in blu o in rosso nelle scuole elementari, e che talvolta disgraziatamente assurgono a capisaldi di pensiero dettando legge per decenni. Abbiamo pertanto ritenuto di segnalare con questa rubrica, aperta a tutti, le storture provenienti da “cervelli increspati” (definizione di Anacleto Verrecchia), che condizionano pesantemente il sapere. Il nostro non è un intento di censori o pedanti (sarebbe il colmo parlando del Bruno!) ma una rivisitazione bonaria e ironica per difendere il Bruno, che non può farlo, dagli “insulti” che ancora gli piovono addosso.
Nei casi più lievi ci limiteremo a fare come gli antichi spartani: esporremo sul Monte Taigeto i parti più debolucci, segnalando coloro che vagiscono ancora in età adulta, emettendo un suono fesso.
Nei più gravi, accompagneremo personalmente sin sul bordo della Rupe Tarpea coloro che, in buona o malafede, hanno danneggiato il Bruno, così come facevano gli antichi romani con i traditori. In entrambi i casi, i lettori saranno liberi di scegliere, attraverso un sondaggio, se assolvere, graziare permettendo al pupo di crescere, o dare, tutti insieme, una piccola spinta. Valens AcidaliusFrances Amelia Yates
Cominciamo con l’occuparci di Frances Yates (1899/1981) autentico “mostro sacro” degli studi sul Rinascimento, intendendo l’espressione nel senso latino: monstrum = qualcosa che appare al di fuori della consuetudine, che si rivela; sacer = ciò che è consacrato agli dei e diventa oggetto di culto. Che la ricercatrice inglese sia stata (e lo è ancora a volte) oggetto di culto non ci sono dubbi. Sarebbe ingeneroso non riconoscere i suoi contributi allo studio della tradizione ermetica e altri spunti originali (saccheggiati da tanti epigoni senza citarla), come quelli su John Florio e su una possibile raffigurazione del Bruno da parte di Shakespeare nell’opera Pene d’amor perdute. Purtroppo, però, l’ostinazione della Yates nel voler inquadrare il Bruno in un telaio sghembo senza averlo compreso, ha portato a decenni di fraintendimenti e ritardi negli studi. Che non abbia compreso il Bruno non siamo noi a dirlo ma lei. Nella sua autobiografia, incompiuta (rileviamo per inciso che neanche Schopenhauer ha mai ritenuto di scrivere una autobiografia), racconta: (1931) Come tutti gli altri studenti del tempo, non avevo la più pallida idea riguardo al pensiero rinascimentale (pag.207); e la studiosa, onestamente, giudica che nello studio sul Florio (scritto due anni prima) i passi dedicati al Bruno sono molto immaturi (206); così, parlando dello studio sull’opera di Shakespeare (1936), ammette che la Yates di quei tempi non sa quasi nulla circa Giordano Bruno (214), e “in quei tempi” ha l’età di 37 anni; ma, improvvisamente, dalla lettura della Cena delle Ceneri, le arriva l’illuminazione: Quel curioso testo, con la sua illuminata accettazione di Copernico, non sembrava affatto ciò che ci si aspetta da un filosofo appena sbucato dal medioevo (215/6); in effetti, “appena sbucati” dal medioevo, non ci si può aspettare un Rinascimento. A questo punto, colpita dalle “stranezze” del Bruno, invece di pensare che possa trattarsi di uno spirito non confinabile nella sua epoca (come sono i geni) inquieta perché sente che qualcosa non le quadra, cerca di trovare una chiave per ricacciare il filosofo nel medioevo, dal quale usciva sfrontatamente, e la trova nella magia. Da quel momento, quasi ogni pagina della Yates si compiace di abbinare il nome del Bruno alla categoria magica (semplificata per di più nel nostro generico senso moderno) rovesciando in banalità la gigantesca e solitaria lotta del Bruno contro l’ignoranza. Intendiamoci: che quei tempi fossero intrisi di superstizioni è chiaro, basta leggere Agrippa, citato varie volte dal Bruno; ma lo sono ancora i tempi nostri, dove l’ignoranza dilaga ad ogni livello e gli imbroglioni alla Edward Kelley si sprecano, riuscendo a vendere a caro prezzo chili di sale “miracoloso” a poveracci creduloni. Riconosciamo inoltre alla Yates la buona fede e gli interessanti risultati conseguiti nel rintracciare una tradizione ermetica. Ma non si può affermare che La filosofia e la religione sono in Bruno una stessa cosa ed entrambe di tipo ermetico (113), riducendo il pensatore a un vaneggiatore e sconfessando le stesse parole del Bruno con la sua suprema rivendicazione di voler parlare da filosofo e non da religioso! Neanche la Chiesa arrivò a tanto: non contestò al Bruno idee e comportamenti da mago, avendo compreso che era molto più pericoloso come pensatore autonomo e rivendicatore di una libertà dai suoi condizionamenti; la inglese invece scrive: è molto probabile che egli sia stato arso vivo come mago (108). E scivola nelle inesattezze: La religione “egiziana” di Bruno includeva la credenza nella metempsicosi, che egli trasse ugualmente dagli scritti ermetici (110), la trasse invece da Pitagora – lo dice lui – e Platone. Tante osservazioni utili vengono oscurate dalla lettura superficiale del filosofo da lei forzato in uno schema preconfezionato, per cui la Cena delle Ceneri diventa: una cena mistica che sfugge alla definizione razionale (35); Questa cena è piena a tal punto di elementi confusi … che è meglio considerarla alla stregua di una descrizione magica e allusiva (279). Non va meglio con la Cabala del cavallo pegaseo, della quale afferma: mostra l’adattamento che Bruno fa della cabala ebraica (106); e, sempre con serafica incomprensione: L’asino di questi dialoghi, ci viene detto, è lo stesso che la bestia dello Spaccio, che ancora una volta riassume il suo posto e ruolo nei cieli. Non ho mai trovato una spiegazione soddisfacente di questo problema (131). Abbondano le affermazioni spericolate, del tipo: Che la disputa sulla teoria copernicana sia anche una disputa sulla Messa può essere finalmente dimostrato dalla seguente citazione (36) e cita il divertente passo del Bruno nella Cena, di risposta alla domanda dell’inglese Torquato su dove si trovasse l’auge del sole (sopra il campanile di San Paolo risponde il filosofo) che è di grande ironia, da lei nemmeno intravista. La vede, invece, a modo suo: La satira di Bruno è naturalmente impregnata di una forma mistica e cabalistica che richiama astruse opere sull’occultismo e sulla magia (132). Non capire quando Bruno è ironico, o sarcastico, rivela che lo studioso è limitato, e porta a prendere solenni cantonate. Altra affermazione quanto meno curiosa della Yates: L’insistenza del Bruno sul fatto … che la teoria copernicana non è semplicemente una formula vuota, è la traduzione in termini filosofici della sua visione del Sacramento altamente mistica e di fatto magica (38). Tutto viene ricondotto alla magia, persino il fatto che Bruno inveisca contro i pedanti grammatici, incapaci di comprendere le superiori attività del mago (183). E nella sarabanda dell’Apprendista stregone viene coinvolto anche il povero Tommaso Moro; scrive infatti la Yates: Secondo me, c’è una influenza ermetica in questa descrizione della religione praticata dai più saggi abitanti di Utopia (208); si salva, per fortuna, il miglior amico del Moro, Erasmo: Nel clima erasmiano la magia non avrebbe potuto far conto sulla fiducia, o sulla credulità, che sono tanto necessarie al suo successo. Ed anche Erasmo, nelle sue lettere, scrive spesso di non dare alcun peso alla cabala (186). Perché mai allora avrebbe dovuto dar peso a magia e cabala il Bruno che venerava e citava Erasmo? Questo la Yates non se lo chiese, restando arroccata sulle sue idee, né fece attenzione alle stroncature feroci della magia intesa in senso popolare che il Bruno fa nel Candelaio; men che meno notò l’analisi, lucida e moderna, dei vari tipi di magia fatta dal Bruno nel De Magia (ma l’avrà letta?).
A questo punto, dopo aver soppesato pregi e difetti della Yates; tenuto conto dell’influenza che ha esercitato su tanti che ne hanno accolto acriticamente il pensiero; aver constatato che ha segnato pesantemente la nostra epoca, che già tende a considerare più furbetto solo chi è nato dopo e a compiacersi della inversione dei valori, indichiamo il sentiero che porta in cima alla rupe.
Nota: le citazioni sono tratte dalle opere: 1) Giordano Bruno e la cultura europea del Rinascimento, Laterza, 2006, che è una raccolta di nove saggi dal 1938 al 1981, le cui pagine sono indicate in corsivo; 2) Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza 2004 (uscita a Londra nel 1964) le cui pagine sono indicate in carattere normale.
Giordano Bruno e l’Incertezza dell’Elogio
Giordano chiama il pane, pane; il vino, vino…ha la dottrina per dottrina, le imposture per imposture…stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti.
di Roberto Amabile da ilmeridiano.net – Note su Nola e la Biennale Bruniana
NOLA – Si è svolta tra il 15 e il 19 aprile l’anteprima della “Biennale Bruniana“, un crogiolo di eventi che ha coinvolto e continuerà a coinvolgere filosofi, filologi, studenti e uomini di cultura italiani e non, ammaliati da un ascendente del tutto singolare: il più grande intellettuale che queste terre abbiano mai potuto dare alla luce.
Filippo Bruno, poi Giordano, suo nome domenicano, fu un pensatore d’eccezione nel panorama non solo nazionale, ma mondiale, talché gli esperti stranieri hanno imparato l’italiano per leggerne in lingua le opere. L’etichetta di “pensatore”, però, non gli si addice, tale la sua portata: fu filosofo, teologo, maestro di mnemonica, prosatore e poeta, filologo, commediografo, astronomo; ma nemmeno in questo modo – sia detto – si avrebbe una ben chiara idea di quale innovazione sia portavoce Bruno. Risulta impresa ardua, e onde evitare una banalizzazione del suo pensiero, non ne si darà una definizione globale (perfino definirlo “neoplatonico” ne minimizza la complessità). Poco male, come direbbe Bruno: «A chi è concesso il meritare, sii [NdR: “sia”] negato l’avere; a chi è concesso l’avere, sii negato il meritare». Ovvero, secondo un’interpretazione del tutto particolare, un intellettuale a cui calza bene un’etichetta probabilmente non ne merita, sarà un intellettuale di poco conto. Chi però tra uno slalom lessicale e l’altro non si sentirà mai “definito”, probabilmente sarà un vero pensatore a cui è scherno, offesa, ingiuria appioppare tre o quattro parole. Questa considerazione dovrebbe far riflettere su quanto siano futili le classificazioni di “uomini magni”. E Bruno si configura come uno di questi, uomo dal multiforme ingegno qual era.
Uno degli aspetti più importanti della produzione bruniana, che merita indubbiamente l’attenzione ai giorni nostri (attenzione che non ha affatto avuto durante l'”anteprima di Biennale”) è proprio il motivo per cui Bruno è stato arso a Roma nel 1600. Il Nolano si fece portavoce di una radicale riforma morale contro l’ignoranza e l’inettitudine dei tempi, all’insegna dell’esercizio critico della propria razionalità – senza dogmatismi di sorta – e di un approccio pragmatico alla realtà supportato dall’attiva concretizzazione dei risultati raggiunti. In tal senso Bruno può definirsi teorico della pratica e pratico della teoria, un vero e proprio rivoluzionario del modo di pensare e di fare.
La rivoluzione bruniana, troppo spregiudicata per i tempi, fu vista come un vero e proprio atto di terrorismo contro il potere costituito, sia quello cosiddetto “spirituale”, di vescovi e cardinali, che quello “temporale”, di prìncipi e regnanti. Infatti Bruno non fu messo al rogo perché si sospettarono eterodossie dal dogma, bensì perché il Nolano «non ritrattò i termini della [sua] filosofia», che sarebbe significato essenzialmente rinnegarla.
Questa filosofia tuttora appare perniciosa per la comunità, una filosofia che sembra comportare solo – nei migliori dei casi – pedanterie e – nei peggiori – intolleranze, da parte di chi ne segue le linee guida, e ci si appella al ritorno ai veri valori, i valori della tradizione e del passato, fortuitamente incontaminati dal divenire del tempo… Chi mal sopportava le innovazioni – in particolare quelle “minacciose” del Nolano (che sono innovazioni per due volte) – ha fatto acuta opera di travisamento, ha interpretato in un’ottica distorta le tesi bruniane e ha convinto le masse della bontà di questa interpretazione; così da un lato si evita che tesi progressiste e dilaniatrici del passato prendano piede nella comunità, e dall’altro si propaganda in che modo il potere costituito abbia ancora una volta salvato la stessa comunità da una sciagura che non avrebbe minimamente desiderato: talché è diventato di moda scagliarsi contro il “relativismo imperante”, poiché ha distrutto le certezze dell’uomo e l’ha fatto precipitare in un baratro senza fondo di infinite verità – tutte esatte e al contempo contraddittorie -, e apostrofare simili considerazioni con frasi del tipo: «si stava meglio quando si stava peggio», cioè quando la verità era “cattolica”, come la stessa radice del termine ci suggerisce: dal greco: καθολικός, ovvero universale. Un punto di vista universale prevede: la totale omologazione di pensiero e azione, che non permette libertà se non nell’eterodossia; l’indiscutibilità assoluta del canone, che per quanto possa essere “perfetto” rivela nella sua pretesa di perfezione una pecca, dunque un elemento discutibile, poiché anche gli uomini ispirati da pantheon interi di divinità, in quanto uomini, possono cadere in errore, e laddove il raziocinio supportato dallo studio suggerisce di infrangere i canoni, ci si dovrebbe rifugiare solo nell’eresia; il totalitarismo, ovvero violenza fisica e psicologica, ostracismo, esilio.
Bisogna abbandonare l’idea di un unico punto di vista, di una verità assoluta, di un credo indiscutibile. Il canone a cui l’uomo dovrebbe fare appello è un canone falsificabile, un sistema di valori che ha il coraggio di rinnovarsi continuamente e mai fossilizzarsi su tesi obsolete, una moralità che faccia costantemente tesoro delle sue tesi avverse.
Ancor di più, però, devo dirvi: è stata un’immensa delusione per chi è nolano di nascita assistere non ad una grave omissione, ma allo scempio dettato dalle logiche di mercato della figura bruniana. Salvo particolari conferenze e interventi interessanti come quelli di Massimo Capaccioli (Università “Federico II” di Napoli) o di Stefano Levi Della Torre (Comunità ebraica di Milano) [NdR: invitato di sabato, cioè quando chi professa l’ebraismo è noto che non può partecipare a convegni; ma, per fortuna, Levi Della Torre non crede in quei precetti], l’entusiasmo degli studiosi stranieri che hanno partecipato alla manifestazione, le rappresentazioni teatrali a tema e i concerti d’orchestra, non vi sono stati notevoli arricchimenti. Ciò che più stordisce è stato l’intervento di Michele Mezza (Presidente della “Fondazione Giordano Bruno”) al L.S.S. “Enrico Medi” di Cicciano, che si fa bene a sospettarlo ripetuto in altre scuole: con rocamboleschi cambi di rotta e tematica si è passati da Giordano Bruno come immensa fonte di cultura a cui chiunque può attingere, all’importanza del turismo e in particolar modo del «settore terziario avanzato» di cui Nola si può far fregio, come il “CIS“, il “Vulcano Buono” e l'”Interporto Campano“. È difficile comprendere perché si sia finiti a parlare di centri commerciali e città degli affari… ma riprenderemo il punto in seguito. Gli interventi del seminario sono stati tutti autoconclusi, che non avrebbero potuto permettere un dibattito vivo, vero, con opinioni su argomenti “scottanti” del pensiero e della vicenda bruniani.
Un barlume di interesse, su tutti, avrebbe meritato (non ha avuto) il discorso di Francesco Vitelli (professore del L.S.S.), uno dei pochi nell’intera “anteprima bruniana” a focalizzarsi sulla questione morale in Bruno, e avanzando anche un parallerismo arguto tra Bruno e Antonio Gramsci, il quale propose una riforma culturale rivoluzionaria [NdR: Gramsci formulò il concetto di egemonia culturale, attraverso la quale le classi dominanti forzano la classe subalterna ad adottare i propri valori, con l’obiettivo di rinsaldare la comunità intorno a un “senso comune” unico, assoluto, indiscutibile imposto da terzi]. Gli altri relatori, dai volti sbigottiti e contrariati, hanno cominciato i propri interventi sul solco del professore, ma da abili oratori hanno sùbito cambiato argomento, si è parlato dell’importanza della televisione dai pochi difetti e dagli innumerevoli pregi, uno strumento che Bruno aveva ipotizzato, secondo i codici di Norov a Mosca. Avremmo voluto veramente una disquisizione filosofica.
Michele Mezza, non contento di come sia andato il seminario, ha chiesto ripetutamente opinioni e pareri che la conferenza appena conclusasi avrebbe potuto suscitare nei ragazzi astanti, ma visto che nessuno ha avuto l’iniziativa di dire la propria, ha cominciato a chiedersi quale valenza Giordano Bruno avesse sul web, a chiederci quali sono i risultati dei motori di ricerca al valore “Giordano+Bruno”. E poiché questa domanda – meno che gli interventi precedenti – non ha suscitato interesse, ha interpellato personalmente uno studente dal quale era sicuro ricevere una valente risposta. Lo studente, contrariato dalla forzata richiesta, come i precedenti buoni oratori hanno dato prova di saper fare, ha cambiato immediatamente argomento, esprimendo le sue considerazioni su quanto ha fatto esperienza durante questa “anteprima di Biennale”, chiedendo perché si è dedicata una struttura fallica in legno alta 25 metri (un giglio) a Giordano Bruno, cosa di cui il filosofo sarebbe parecchio contrariato se ne venisse a conoscenza… Secondo Michele Mezza il giglio è più di una componente folcloristica per Nola, «il giglio è il simbolo di Nola», stesso simbolo di francesi, spagnoli, eccetera; l’alzata del giglio, ancora, è un momento fondamentale per far sodalizzare la comunità intorno a valori comuni, quali la fatica, la devozione, la famiglia, l’altruismo.
Forse il giglio di una volta, Michele Mezza. Forse il giglio di una volta. Questa festa, pagana un tempo, è stata trasformata in religiosa tramite il fenomeno di sincretismo religioso, sostituendo i simboli profani a quelli cristiani, dimodoché le chiese locali prendessero piede, consensi, potere nelle località contadine e retrograde che facevano ancora affidamento ai culti degli dèi. Il giglio è sottomissione totale alla divinità a danno del fedele, del suo corpo e della sua mente, lavoro sprecato e che avrebbe potuto fruttare vantaggi effettivi alla comunità, la cieca ignoranza che non si rende conto dei danni che possano provocare uno sforzo di quella misura, insegna la competizione, la rivalità, la faida tra gruppi, bande, comitati, che solo sodalizi di carattere economico possono ipocritamente saldare gli inutili contrasti interfamiliari. Il giglio è la rappresentazione del pene eretto, un fallo di 25 metri che alimenta inconsciamente i sentimenti di virilità di chi “culla” la struttura, e di possessione del membro da parte delle matrone che ne seguono i mariti. Tanto più la divinità è facente, tanto meno l’uomo può tentare di risolvere i problemi in terra; tanto più la divinità è sciente, tanto più l’uomo è ignorante e si sente fiero di non conoscere; tanto più la divinità è potente, tanto più l’uomo che sta sotto il lungo pene si sente in difetto.
Se l’anteprima ne ha già in nuce le intenzioni, la “Biennale Bruniana” risulterà probabilmente un modo strategico di sfruttare impunemente la figura del grande Giordano Bruno, facendolo un marchio per il turismo e i prodotti di Nola, che magicamente diventa una «terra di terziario avanzato», dacché il “CIS“, il “Vulcano Buono” e l'”Interporto Campano” sono gli sponsor principali della manifestazione. Nelle intenzioni di Michele Mezza, si dovrebbero dedicare tutti e gli otto gigli a Giordano Bruno, così da aumentare la speculazione sulla sua figura: questo “elogio dell’incertezza” – mi sa – si riferisce alla totale ignoranza che Mezza ha del pensiero bruniano, visti gli scempi che ne fa.
Autografi e scarabocchi
L’articolo pubblicato sul Corriere della Sera a pag. 39 dell’edizione del 17/04/2011, dal titolo “Il notaio fotografò Giordano Bruno sul rogo” mi suggerisce alcune amare considerazioni. Tralasciando il giudizio sulla significatività della testimonianza presentata, mi vien da chiedermi quali siano oggi i veri valori della cultura e chi ne detenga il monopolio. Mi spiego meglio. Studio Bruno da decenni, ho pubblicato libri, ripercorso personalmente la sua peregrinatio, collaborato a cortometraggi, video, mostre, convegni, e ho dovuto continuamente fare i conti con l’egemonia e la protervia della classe accademica. Mi direte: cosa c’entra questo con l’articolo in questione? C’entra, perché tre anni orsono ho presentato con i mezzi a mia disposizione (l’entusiasmo dell’editore Di Renzo e il sito internet dedicato al filosofo 13 anni fa) la mia scoperta di un inedito autografo bruniano, rinvenuto su una copia del Camoeracensis Acrotismus, nella Biblioteca del Klementinum di Praga. La risposta degli accademici? Silenzio assoluto sulla scoperta, veto di pubblicazione della notizia sugli organi di stampa da loro controllati e boicottaggio delle mie pubblicazioni! Ancor prima avevo pubblicato un saggio nel quale, per primo, identificavo una fonte rabelaisiana in un opera del Nolano. In seguito ho messo a disposizione di studiosi e appassionati la prima traduzione in assoluto di tre importanti opere latine del Nolano: Camoeracensis Acrotismus, Summa terminorum metaphysicorum e i Dialoghi su Mordente. Tutti questi studi sono stati regolarmente segnalati ai responsabili delle pagine culturali dei principali quotidiani nazionali, senza ricevere, salvo rare eccezioni, la benché minima risposta, magari critica, ma che almeno attestasse imparzialità di giudizio. Come può accadere una cosa simile? Non ignorate certo che, a partire dall’anno 2000, due o tre personaggi si sono spartiti, oltre ai fondi stanziati, anche le pagine culturali delle testate nazionali, esercitando il diritto di veto sulla pubblicazione di qualsiasi articolo o recensione che non riguardi una delle parti in lotta. Una sorta di comitato trasversale controlla, gestisce e censura tutto ciò che riguarda Giordano Bruno. Non posso credere che l’Italia sia giunta a un punto tale di degrado, che il potere accademico occupi tutti i centri nevralgici della cultura, oltre che nelle università, anche nei quotidiani nazionali e nelle principali case editrici! Non voglio entrare nel merito delle competenze e dei reali contributi scientifici offerti da costoro, non è questa la sede, ma soltanto evidenziare la disinvoltura con cui si spacciano per “bruniani” studi che col filosofo hanno quasi niente a che fare o saggi di autori stranieri che molto hanno da imparare da noi sulla personalità e sul pensiero del Nolano. Proprio in questi giorni Laterza pubblica con grande risalto (è citata anche nell’articolo in questione) una biografia di Bruno, che la stessa autrice, Ingrid Rowland, definisce “una introduzione per un pubblico anglofono […] per lettori con scarsa consuetudine con l’autore”. Con tutto il rispetto per la Rowland (sono sempre stato il primo ad incoraggiare ogni iniziativa volta a diffondere il verbo bruniano), è allucinante che in Italia si dia importanza a lavori tanto approssimativi e poi si trascurino le scoperte di studiosi competenti, impedendone la diffusione. Tanto per dare l’idea, al periodo zurighese di Bruno, indagato minuziosamente nelle circa 100 pagine del mio recente saggio “Bruno in Svizzera, tra alchimisti e Rosacroce”, la Rowland dedica la bellezza di….8 righe!! L’ho già fatto più volte, naturalmente senza che nessuno la raccogliesse, ma rilancio qui la sfida a chiunque voglia confrontarsi con me, pubblicamente, su questo terreno. Vorrei capire: sarebbe una novità l’aver trovato un bozzetto, dal quale dovremmo dedurre che Bruno aveva la barba e non la mordacchia, e non ha invece rilevanza il ritrovamento di una firma autografa inedita del filosofo, quando finora ne erano note soltanto due, di cui una dubbia? Val più uno “scarabocchio” dell’identificazione di un passo di Rabelais in un’opera del Nolano, influenza soltanto evocata e mai provata finora, o, ancora, last but not least, la mia recente ricostruzione, basata su inediti documenti rinvenuti in Svizzera, dei rapporti intercorsi tra Bruno e il movimento dei Rosacroce, che erano stati solamente intuiti, senza dati di fatto, da Frances Yates? Qui non si tratta di semplice discriminazione, ma di vero e proprio “banditismo” intellettuale!
L’autore, rivelando finalmente i suoi veri appetiti, chiude l’articolo con la richiesta che i miliardi di euro stanziati per gli allevatori (non si capisce poi perché proprio questi e non quelli dilapidati da tante altre categorie in modo ancor più scandaloso) siano dati alla “scuola” e alla “cultura”, cioè ai soliti noti! Ha forse dimenticato lo sconcio della “grande torta del Centenario del 2000”, allorquando una sola persona, Michele Ciliberto, gestiva il 92% di tutti i finanziamenti e il 100% dei fondi (3 miliardi del vecchio conio in tre anni) stanziati per le Celebrazioni del quarto centenario della morte di Giordano Bruno e cinque ricercatori si sono spartiti l’ottanta per cento dell’intera somma stanziata? Secondo lui sarebbero necessari milioni per interpretare una vignetta trovata in un archivio, mentre ci sono scoperte di studiosi, realizzate a proprie spese, soltanto per amore della verità che vengono tenute nascoste, in quanto non fruttano nulla, ma anzi mettono a repentaglio lo sfruttamento dell’affare. Si, amici miei, perché soltanto di affari si tratta e null’altro. E’ una situazione vergognosa, cui si è giunti grazie alla complicità di quella stessa stampa sempre pronta a scavare negli armadi di tutte le “caste”, tranne di quella accademica. Perfino i giudici vengono oggi messi in discussione, ma l’università continua ancora, sorprendentemente, a farla franca! Nonostante le sollecitazioni degli studiosi onesti, nessuno dei grandi censori della sinistra, per ovvi motivi politici, ha mai osato violare il covo dei furfanti accademici. Il mio non è un semplice sfogo, è di più! E’ il lancio di una giusta crociata per la salvaguardia della libertà e della coerenza di pensiero. Crociata il cui campione è a pieno diritto, proprio quel Giordano Bruno che costoro pretendono di gestire in esclusiva. Ciò che più indigna, il paradosso più assurdo, la più beffarda offesa che si possa fare a Bruno oggi è permettere che a rappresentarlo sia proprio il prototipo del pedante che Egli ha criticato e combattuto per tutta la vita. Il nemico numero uno dell’intolleranza e dei pregiudizi accademici che gli impedirono di salire in cattedra a Oxford, a Parigi e in quasi tutte le università d’Europa, è finito nelle mani di personaggi che fanno proprio questo: impediscono a studiosi preparati di insegnare negli atenei, impediscono la pubblicazione dei libri, impediscono la diffusione delle idee, impediscono la realizzazione di opere senza la loro approvazione. E poi pretendono di venirci a spiegare come la pensava Bruno! Suonano sempre attuali le parole di Antonio Labriola: “Bruno filosofo non appartiene soltanto ai filosofi e noi non tollereremo che la corporazione degli accademici lo sequestri per sé. Bruno fu il filosofo fastidito, l’accademico di nessuna accademia, il nemico dei pedanti, il libero ricercatore della verità: dunque che cosa ha di comune con le Università? Dio ci guardi dalla dottrina ufficiale! I sapienti che oggi esaltano il Nolano, ieri in compagnia del Bellarmino, ne avrebbero sentenziata l’insanità, perchè é ufficio dell’ Accademia non promuovere la Scienza, ma irrigidirla e canonizzarla. Perciò i discendenti dei dottori che derisero il Nolano e con lo Scioppio gioirono del supplizio, oggi non sapendo come fargli offesa lo vorrebbero incarcerare nelle loro cattedre ed ipotecarlo per le loro dispense di esame”.
Non mi illudo certo che pubblichiate questa mia, né che apriate finalmente un dibattito serio su questi delicati argomenti, sintomo eloquente di quello stesso declino culturale che Bruno annunciò per la sua epoca, riproponendo il lamento ermetico. Ciò nonostante continuerò sempre a denunciare questa situazione, con tutti i mezzi a mia disposizione, animato dalla stessa speranza che ispirava il Nolano: “ora che siamo stati nella feccia delle scienze, che hanno parturita la feccia delle opinioni, le quali son causa della feccia de gli costumi et opre, possiamo certo aspettare de ritornare a meglior stati”.
Ai giovani studiosi che intendono dedicarsi alla ricerca mi sento di dare un consiglio. Non perdete tempo a rovinarvi la vista sui libri, non sciupate le vostre notti a percorrere insonni gli intricati sentieri della conoscenza! Affidatevi al marketing: preparate un accattivante polpettone, rimasticando materiali raccattati qua e là e comprate quanti più spazi pubblicitari e recensioni potete, se ne avete i mezzi. Il successo sarà assicurato, alla faccia del progresso del sapere e della obiettività storico-scientifica. Se, invece, siete davvero “Bruniani”, nel significato più profondo e autentico del termine (cosa che, nonostante tutto, vi auguro per la vostra evoluzione interiore), allora continuate a cercare la verità, cito ancora Labriola, “con passione, con frenesia, con ispasimo, senza riguardi umani, fra lo sprezzo dei dotti e disprezzandoli”.
Guido del Giudice
E il notaio «fotografò» Giordano Bruno sul rogo
Giordano chiama il pane, pane; il vino, vino…ha la dottrina per dottrina, le imposture per imposture…stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti.
di di Nuccio Ordine – “Corriere della sera” 17/04/2011
RIEMERGE DALL’ ARCHIVIO DI STATO DI ROMA UNA PREZIOSA TESTIMONIANZA DELL’ INQUISIZIONE
In un disegno la prima immagine del filosofo
Un nuovo documento sul rogo di Giordano Bruno offre per la prima volta una testimonianza visiva del tragico evento del 17 febbraio 1600: si tratta di un disegno, eseguito dal notaio Giuseppe De Angelis, in cui si vede il filosofo avvolto dalle fiamme. Collocato accanto alla descrizione del trasferimento dell’«eretico» dal carcere di Tor di Nona alla piazza di Campo de’ Fiori, lo schizzo mostra Bruno di tre quarti, con addosso una tunica, e con le braccia dietro il corpo, probabilmente legate a un palo come spesso accadeva. Il volto presenta dettagli interessanti: un filo di barba sembra marcare i contorni del viso, mentre il tratto molto accentuato degli occhi e delle sopracciglia potrebbe far pensare a uno sguardo marcato, quasi minaccioso. Questo prezioso inedito è stato rinvenuto nell’ Archivio di Stato di Roma da Michele Di Sivo e Orietta Verdi nel corso del restauro di alcuni documenti in occasione della mostra dedicata a Caravaggio a Roma (fino al 15 maggio), in cui sono esposte testimonianze sconosciute sul soggiorno nell’ Urbe del grande pittore. Si tratta del registro che raccoglie gli avvenimenti accaduti tra il 1° gennaio e il 31 marzo 1600. L’ intervento dei restauratori ha permesso di recuperare quasi il settanta per cento del testo in latino. Ma già una prima trascrizione, effettuata da Di Sivo e dalla Verdi, presenta, nonostante alcune evidenti lacune, interessanti informazioni finora rimaste sconosciute agli specialisti. Il notaio De Angelis, come era nella prassi, registra che Bruno, trovandosi detenuto presso il governatore di Roma (che all’ epoca era Ferrante Taverna) viene affidato al giudice Giovanni Battista Gottarello per far eseguire la condanna comminata dal Tribunale dell’ Inquisizione. Il nome di Gottarello non era mai apparso prima in nessun documento: spetta a lui dare il via al corteo che accompagna Bruno in Campo de’ Fiori. L’ Inquisizione, infatti, affidava al braccio secolare l’ esecuzione della pena capitale. Tra i testimoni del rogo, figurano il cardinale Giulio Antonio Santori di Santa Severina e lo stesso notaio De Angelis. L’ unico importante resoconto del supplizio del Nolano, in cui si descrive l’ atteggiamento sdegnato di Bruno che reagisce con ferocia quando gli presentano un crocifisso, è conservato in una lettera spedita da Roma, proprio il 17 febbraio 1600, da Kaspar Schoppe al suo maestro Konrad Rittershausen. Da quest’ ultimo, probabilmente, il grande Keplero avrebbe potuto attingere le informazioni che hanno ispirato la sua famosa missiva del 1607 in cui si accenna alla tragica fine dell’ «infelice» filosofo. In assenza degli atti processuali e di fronte alla carenza di documenti che riguardano la vita di Bruno, questa nuova scoperta aggiunge una piccola tessera alla ricostruzione degli avvenimenti. Ma l’ elemento più prezioso riguarda il disegno del notaio. Si tratta di uno schizzo, è vero. Si tratta di un manoscritto purtroppo deteriorato dall’ umidità, senza dubbio. Ma l’ abbozzo dell’ unica testimonianza visiva del rogo potrebbe fornire, se studiata a fondo e con strumenti che possono permettere di distinguere con maggiore chiarezza il tratto della mano dalle sbavature dell’ inchiostro, qualche dettaglio utile a rispondere ad alcuni interrogativi. Bruno aveva veramente la mordacchia, il morso collocato in bocca? Solo un documento la menziona, senza altri riscontri. E ancora: Bruno viene bruciato nudo, come è ricordato soltanto in una nota della Confraternita di San Giovanni Decollato? A una prima analisi del disegno sembrerebbe che Bruno indossasse una tunica, mentre resta difficile confermare o smentire la presenza della mordacchia (il tratto della bocca resta non abbozzato: per distinguere i limiti della barba o per voler marcare la bocca chiusa?). Altre interessanti indicazioni potrebbero chiarire dettagli del volto del Nolano. Lars Berggren ha mostrato che tutti i ritratti del filosofo finora conosciuti sono stati eseguiti molto tempo dopo la sua morte. Dagli interrogatori degli atti veneziani ricaviamo l’ unico racconto, molto vago, di un testimone che descrive Bruno come «un homo piccolo, scarmo, con un pocco di barba nera». Del resto, anche nel Candelaio il pittore Gioan Bernardo (le iniziali, G. B., rafforzano nella commedia il suo ruolo di alter ego dell’ autore) viene rappresentato con una «negra-barba». E in effetti il disegno del notaio De Angelis sembrerebbe confermare la presenza della barba che correrebbe lungo tutto il volto. Ma questo schizzo – che, lo ripetiamo, merita indagini più approfondite – non può essere considerato un caso isolato. Esistono, infatti, diversi esempi in cui ai margini dei registri venivano offerte immagini dei condannati a morte con una serie di importanti dettagli. Michele Di Sivo, in un suo articolo, ne segnala due: Andrea Pacini, bruciato a Roma per sodomia il 10 maggio 1614, viene raffigurato nudo con un volto effeminato e addirittura con due seni abbozzati, mentre Giovanni Mancini (condannato il 23 ottobre 1623 per aver celebrato messa senza essere prete) viene rappresentato nelle fiamme, vestito, e con i tratti del volto e dei capelli ben evidenziati. Quanti altri documenti importanti per la memoria del nostro grande patrimonio intellettuale e artistico potrebbero venir fuori dai nostri archivi? A Roma se non fosse stato per l’ eccellente idea dei dirigenti dell’ Archivio di Stato di rivolgersi a sponsor privati, per il restauro degli importanti documenti su Caravaggio, non avremmo mai avuto occasione di aggiungere nuove tessere alla vita del famoso pittore e adesso anche a quella di Giordano Bruno. Ma perché lo Stato si disimpegna sempre più e non difende i suoi tesori? L’ alibi della crisi viene smentito dai fatti: i miliardi di euro stanziati per coprire le furberie di pochi allevatori non avrebbero potuto essere degnamente e fruttuosamente investiti nella scuola e nella cultura?
Biblioteca Su Giordano Bruno e il suo tempo, Nuccio Ordine ha pubblicato «La soglia dell’ ombra» (Marsilio), «Contro il Vangelo armato» (Raffaello Cortina editore), «La cabala dell’ asino» (Liguori) e, da poco uscito in Francia, «Trois couronnes pour un roi» (Les Belles Lettres). Di recente è uscita da Laterza la biografia di Ingrid Rowland «Un fuoco sulla terra. Vita di Giordano Bruno». Da ricordare inoltre un classico di Luigi Firpo «Il processo di Giordano Bruno» (Salerno) **** 1600 Giordano Bruno morì sul rogo il 17 febbraio 1600. Aveva 51 anni
Ordine Nuccio
Pagina 39
(17 aprile 2011) – Corriere della Sera
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L’Accademia delle bestie trionfanti
Giordano chiama il pane, pane; il vino, vino…ha la dottrina per dottrina, le imposture per imposture…stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti.
Il nostro corrispondente Dick Talpa ci ha inviato la registrazione di una riunione segreta svoltasi circa un anno fa nella giungla universitaria.
Strane entità zoomorfiche discutono di argomenti in apparenza incomprensibili, ma che gettano una luce sinistra sugli avvenimenti “bruniani” degli ultimi tempi. Eccone la trascrizione… alla maniera di Esopo!
“Lince: In qualità di presidente dell’Accademia, dichiaro aperti i lavori di questa assemblea straordinaria, convocata su richiesta del professor Mignatta. A te dunque la parola, Pippo. Cosa c’è di tanto urgente?
Mignatta: Eccellenza, una grave minaccia incombe sulla nostra corporazione. Qualcuno osa sfidare il nostro potere assoluto sulle menti delle bestie della foresta.
Lince: Chi è che osa tanto?
Mignatta: Il Leone, esimio. Si è messo in testa di diffondere la conoscenza a tutto il popolo degli animali, senza affidarsi a noi. Senza che prima esaminiamo e stabiliamo cosa e quando può essere divulgato e, soprattutto, a quale prezzo! Inoltre va raccontando in giro tutti i nostri imbrogli. Non vorrei che anche il Ciuccio decidesse di appoggiarlo, visto che ha sempre detto (solo a chiacchiere per la verità) di voler far conoscere tutti i retroscena dei nostri affari.
Lince: Non bastava il Ciuccio, con le stupidaggini che scrive, ora ci si mette anche il Leone! Tra un po’ chiunque pretenderà di interpretare i testi filosofici, facendo a meno di noi!
Cane ( rivolgendosi sottovoce alla Mignatta): La sua solita mania di persecuzione! Teme sempre che tutti cospirino contro di lui! In realtà gli interessa solo il potere. Della filosofia, della cultura non gliene frega un bel niente! Per questo si circonda solo delle sue favorite e dei leccaculo!
Lince: Che hai da mormorare tu, eh? Più che un Cane sembri una iena! Ho saputo sai che nelle tue lezioni usi come testo di riferimento quello del Ciuccio anziché il mio. Ho fatto bene a bocciarti per la docenza: se non cambi registro, la cattedra te la puoi scordare! Hai la volontà di potenza di un pidocchio, ma per me sei solo un rospetto che sguazza laggiù nel fango del tuo stagno. E lì ti lascerò in eterno! Ricordi il Riccio, che si era messo in testa di far strada con l’aiuto dei preti? L’ho costretto a ritirarsi in campagna ad insegnare ai topi e ai maiali. E bene ho fatto. Ho saputo che ultimamente ha fatto pure outing! Incredibile! Il Riccio, che è sempre stato proverbiale per la sua vitalità sessuale, ora è diventato gay!
Mignatta: Il caso è grave, eccellenza! Come potrò continuare a succhiare il sangue alle mie studentesse? Con la scusa di far loro da tutor, finora sono riuscito a farle lavorare per noi, mentre ce ne stiamo con le chiappe ben comode dietro le nostre cattedre. Ma se il Leone dovesse far capire loro che le sfruttiamo, chi vorrà più sacrificarsi per noi? Bisogna intervenire subito! Tu Cane hai poco da sghignazzare! Lo sai che ha osato pubblicare proprio la traduzione che avevamo sottratto a quella giovane studiosa, per pubblicarla con lauti guadagni per tutti noi?
Cane: Bastardo! Abbiamo fatto tanto per farci cedere i diritti e adesso questo arriva fresco fresco e ci rovina l’affare!
Mignatta: La pagherà cara. Dovrà ritirare il libro e chiederci scusa!
Lince: Giusto. Potremmo accusarlo di plagio! Ma, cos’è questo strepito? Sbaglio o sento ragliare? Ma… è il Ciuccio!! Come osa presentarsi in questa assemblea, in mezzo ai suoi acerrimi nemici?
Ciuccio (entra al galoppo, scalciando tutto infuriato): Proprio tu parli di plagio, che hai rubato l’edizione dell’Aquila e te ne sei attribuito i meriti?!
Lince: Sappiamo che sei una bestia “urtativa”, ma non crederai mica di impressionarci facendo irruzione così nella nostra assemblea? Che vuoi? Cosa ci fai qui?
Ciuccio: Sono qui perché penso sia interesse comune coalizzarci contro un pericoloso nemico che rischia di compromettere i nostri interessi.
Lince: Parli del Leone?
Ciuccio: Ah! Ne sei già al corrente?
Lince: Dimentichi che io so sempre tutto!
Ciuccio: Già! Come faresti, se no, a compiere le tue porcate!
Lince: Porcate io? Ma se lo sanno tutti che per te la filosofia significa solo quattrini e prostitute! Perfino l’Aquila, della quale ti vanti di essere discepolo, ti sopportava solo perché gli procuravi le puttane!
Ciuccio: Non ti permetto nemmeno di pronunciarlo quel nome. Sei stato proprio tu ad eliminarla, come hai fatto e continui a fare con tutti i tuoi avversari!
Mignatta: Orsù, esimi professori, non è il momento di litigare questo! Regolerete i vostri conti dopo, con tutta calma. Eccellenza, penso che il Ciuccio, dopo tutto, abbia ragione: l’unione fa la forza. Dobbiamo essere uniti in questa battaglia e mobilitare tutte le forze dell’accademia contro il nemico comune.
Lince: Stai calmo, Mignattina, ne abbiamo già sistemati altri in passato. Ricordi il Gufo Anacleto? Si era messo in testa di pubblicare il suo libro con un’importante casa editrice e si rivolse a me, tutto sculettante. Il tapino non immaginava che io disponessi del diritto di veto sulla pubblicazione di qualsiasi saggio filosofico presso tutte gli editori più importanti. L’ha dovuto pubblicare presso un editore fallito come lui. Il miserabile poi si vendicò andando a dire in giro che, in realtà, io non farei un cazzo e i libri me li farei scrivere dal mio gineceo.
Cane (sottovoce): Che poi è la verità!
Lince: Che ci vuole a sistemare questo leoncino impazzito? Vi avevo già avvisato in passato: sta crescendo troppo! Io stesso ho cercato di ridurlo a miti consigli, fingendo di volergli accordare la mia protezione, ma, purtroppo, non è tipo da farsi manovrare.
Ciuccio (in tono enfatico): Si, anch’io l’avevo avvisato, con la mia consueta onestà intellettuale, perché per me eticamente quello che tu pensi deve essere conseguenziale a quello che tu sei. La mia posizione è sempre chiara e coerente, a differenza tua, Lince, che non dici mai quello che pensi!
(Tutti scoppiano a ridere a crepapelle)
Mignatta: Ah Ah Ah Ah! Coerente tu! Se fossi coerente come dici, dovresti stare al fianco di chi denuncia le nostre magagne, che hai sempre detto di disprezzare. La tua venuta qui è la prova che anche tu temi chi vuol mettere il naso nei nostri affari, perché sei come noi, peggio di noi! Perciò smettila di fare il santarello e mettiamoci piuttosto d’accordo su come toglierci dai piedi questo rompiscatole!
Lince: Calma ragazzi. Che problema c’è? Avviate la solita procedura. Sia inviata a tutte le bestie accademiche la solenne ingiunzione di bandire il Leone, da qualsiasi comitato, fondazione, associazione, società, convito, club, in cui ci siano nostri adepti. Il suo nome non deve comparire in nessun libro, saggio, pubblicazione, stampa o quant’altro.
Cane (ringhiando feroce) Si, si, distruggiamo anche i suoi libri! Anzi bruciamoli!
Mignatta: Ehm…ehm, calma! Dimentichi che ufficialmente siamo contro i roghi.
Cane: Hai ragione mi sono lasciato trasportare! Però….un bel rogo, magari con lui dentro! Un domani potremmo anche istituire un comitato per celebrarne l’anniversario e metterci in tasca un altro bel po’ di milioni!
Lince: Basta così! Abbiamo sprecato fin troppo tempo per questa bazzecola! Così è deciso. Trasmettete gli ordini ai miei luogotenenti in tutta la foresta. Birillo il coccodrillo a Nord, il montone a sud e l’orso nelle isole, oltre alle mie favorite si occuperanno di eseguire l’ordine. Tu Ciuccio, datti da fare nei tuoi territori, e anche all’estero visto che ti vanti (ironico) di essere un Ciuccio internazionale! Così potremo tornare tranquillamente a spartirci i finanziamenti statali.
Ciuccio: Si, ma ricordati che appena eliminato il Leone, tornerai ad essere tu il mio principale nemico!
Lince: Non posso dire altrettanto di te. Ne ho tanti altri e molto più potenti. Ma ora sono stanco! L’orecchio è un organo delicato e non lo si può dare a tutti! La seduta è tolta.”
Attenti agli equivoci (più o meno voluti)!
Giordano chiama il pane, pane; il vino, vino…ha la dottrina per dottrina, le imposture per imposture…stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti.
Due segnalazioni della “Mordacchia”:
1) Leggo dell’uscita di un volume di “Giordano Bruno” intitolato: “La maggioranza silenziosa. Conversazioni con animali”.
E quando mai l’avrebbe scritto?
La lettura di quest’articolo mi svela l’arcano: http://www.riaprireilfuoco.org/blog/?p=210 (articolo rimosso dall’autore)
In effetti, si tratta del libro di un omonimo(!), da parte di una casa editrice al centro di discutibili operazioni editoriali, il Gruppo Albatros Il Filo.
Ecco la scheda dell’autore:
“Giordano Bruno è nato a Iselle di Trasquera (VB) il 13 marzo del 1947 e vive a Domodossola (VB)”.
Lavora in proprio, come consulente nel campo della sicurezza sul lavoro.
La maggioranza silenziosa – Conversazioni con animali è la sua prima pubblicazione!!!!
La cultura è davvero alla frutta! E te pareva che per pescare nel torbido non andavano a disturbare il Nolano!
2) Chiunque ormai, senza nessuna competenza, può raccontare su Bruno tutto e il contrario di tutto.
Si organizzano mostre, si tengono conferenze, anche in paesi esteri, e, vantando una inesistente conoscenza bruniana, si divulgano ad ignari studenti (e, purtroppo, a docenti) dati storici inesatti e, quel che è peggio, travisando completamente il pensiero del filosofo. Si plagiano o si citano a sproposito lavori di studiosi e addirittura si millantano presentazioni mai ricevute, magari spacciando per proprie quelle fatte a libri di altri. E’ un fenomeno che va denunciato con fermezza in quanto, oltre a rovinare il paziente e dispendioso lavoro di tanti studiosi seri, crea un danno notevole all’immagine storica e alla corretta interpretazione del pensiero di Giordano Bruno. Se proprio vogliamo trovare un lato positivo in queste iniziative, il fatto che si cerchi di sfruttare l’interesse per Giordano Bruno, è segno che la notorietà e l’importanza del Nolano sono in decisa crescita.
Ascoltate, in questo video, cosa è riuscito a propinare il buon Felice Storti ad uno sprovveduto uditorio in Romania! Lascia perdere Felice, te la cavi decisamente meglio con colori e pennelli!
Articolo sul Mattino di Napoli
Giordano chiama il pane, pane; il vino, vino…ha la dottrina per dottrina, le imposture per imposture…stima gli filosofi per filosofi, gli pedanti per pedanti.
Nola. I sogni di gloria sembrano ormai definitivamente sfumati, così come l’idea di far diventare GIORDANO BRUNO il brand dello sviluppo economico turistico e culturale di Nola. Archiviate fondazioni, grandi eventi, biblioteche multimediali, dimenticati codici ed eventi internazionali a quattrocentoundici anni dalla morte sul rogo di Campo de’ Fiori del filosofo nolano non resta altro che rendergli omaggio con una due giorni dedicata allo spirito ed al palato. Si comincia oggi con i «Dialoghi sulla nolana filosophia di Bruno, della causa prima e di altre costellazioni», incontro con il filosofo Giulio Giorello, promosso dall’associazione «Giordano Bruno» di Nola. L’appuntamento è in programma per le diciassette nella sala convegni del museo archeologico di Nola. Dopo tutti a cena intorno alla tavola imbandita dell’Eremo dei Camaldoli dove il pensiero di GIORDANO BRUNO questa volta sarà interpretato in chiave gastronomica. Domani, invece, solita deposizione della corona di alloro prima a Nola, ai piedi della statua che si erge nell’omonima piazza e poi a Roma. Parteciparenno il sindaco Geremia Biancardi, gli amministratori comunali e gli alunni delle scuole medie della città. Nel pomeriggio saranno i Lions a ricordare il Nolano con un convegno che avrà per tema «Giustizia e legalità» e che si terrà nel salone delle armi del tribunale di Nola. Relatori, Aldo Masullo ed Aniello Montano. Sabato gran finale con il seminario di studio curato dal docente universitario Aniello Montano dal tema «Bruno e l’idea di Nazione». Si celebrerà così il ricordo del pensatore e si inaugurerà anche la stagione delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. «Il 17 febbraio è il giorno di ricordo e commemorazione di un grande del pensiero libero – ha commentato l’assessore ai beni culturali del Comune di Nola, Maria Grazia De Lucia – del risvegliatore delle anime dormienti, domatore dell’ignoranza presuntuosa e recalcitrante, odiato dai propagatori di idiozie e dagli ipocriti, il cui genio è applaudito dai nobili. Un grande filosofo che ha reso più grande anche la nostra città». Carmen Fusco
Costantino aveva il letto infestato dalle cimici, Albenzio andava «a caccia di scarafoni», Franzino era quello che vendeva i meloni. Poi c’erano Laurenza, tormentata dalla caduta dei capelli; Ambrogio che non riusciva ad ingravidare le donne e Paulino, che «perdeva le braghe». Erano volti, immagini, personaggi della sua Nola, quelli che Giordano Bruno, filosofo inquieto e giramondo, si portò sempre appresso nei suoi ricordi. Nomi che cita qui e là nelle sue opere. Monaco un po’ bestemmiatore e un po’ iconoclasta, frequentatore di bettole e postriboli, quest’omiciattolo «dal nome più lungo del corpo», che parlava in latino con uno strano accento della provincia napoletana, fu un gigante del pensiero, destinato ad abbattere le antiche idee e a spalancare le porte al nuovo sapere scientifico, dove la materia, solo la materia, è principio unico ed eterno. Nemico di pedanti e aristotelici, di superstiziosi e baciapile, GIORDANO BRUNO che vide e prefigurò Infiniti mondi, fu sempre orgoglioso di definirsi «il Nolano». Era il 17 febbraio del 1600 quando, accusato d’eresia, venne bruciato a Campo de’ Fiori, a Roma. Sono passati quattrocentodieci anni. A Nola non lo hanno dimenticato e l’Associazione Giordano Bruno, presieduta da Paolino Fusco, ha organizzato con il patrocinio del Comune una «due giorni» per interrogarsi sulla figura del monaco dalla vita spericolata. In programma discussioni, dialoghi, letture tratte da opere di Bruno. E anche una «Cena delle ceneri», con bottiglie di aglianico e maccheroncelli, all’eremo dei Camaldoli, sulla collina di Cicala. Vino e dibattito, chiacchiere e filosofia. Con studiosi bruniani provenienti da varie parti d’Italia. E con Giulio Giorello, filosofo della scienza, autore di numerose opere (Lussuria e Senza Dio, gli ultimi due titoli). Con lui abbiamo parlato di Giordano Bruno. Chiedendoci, un po’ per gioco, un po’ sul serio, che ne penserebbe il Nolano dell’Italia di oggi. Allora, professore, perché GIORDANO BRUNO affascina ancora? Solo per la biografia da impertinente? O potrebbe ancora dirci qualcosa? Per esempio, che avrebbe da dire oggi, il Nolano, su un tema come la laicità, sui rapporti tra Stato e Chiesa? «Bè, qualche ipotesi si può azzardare. Io per esempio non credo che rinnegherebbe quello che si trova nei suoi scritti. Prendiamo lo Spaccio della bestia trionfante: lì se la prende con l’invasione di campo da parte di qualunque religione. Una setta che pretenda di arrogarsi la verità, dice Bruno, deve essere dispersa, come si fa con le locuste. Insomma, oggi il povero Bruno avrebbe parecchi problemi in quest’Italia così piena di locuste. Certo la Chiesa di oggi un po’ è cambiata, ma Bruno sicuramente non si schiererebbe con i neo-integralisti». Già, e sulla questione morale, per esempio, da che parte starebbe? Perché Bruno di certo non era un moralista o un ”puritano“… «Per niente. Gli piacevano tanto le donne, questa è cosa nota. E gli piacevano perché attraverso le donne intendeva comprendere la bellezza del mondo. Uno dei capi d’accusa che gli venne mosso era di non considerare peccati gravi i peccati della carne. Da parte sua, lui si vantò di avere avuto tante concubine quanto quelle di Salomone: più o meno novecento…». Tutto a posto, allora, nessuna questione morale su questo fronte? «No, un momento, chiariamo: in Bruno il piacere carnale è una sorta di iniziazione alla grandezza d’animo, che porta alla conoscenza. La lussuria, per dirla così, è passione per la conoscenza. Nulla a che vedere con le attuali vicende italiche, dove proprio non mi pare che ci siano elementi di ascesi e di ascesa attraverso la carne. Qualcuno dei difensori dell’attuale premier ha citato Bruno a sproposito». In che senso? «Nel De vinculis, Bruno tesse una sorta di elogio del lussurioso e in questo senso è stato citato. Ma Bruno oltre a dire che il piacere carnale accende il desiderio della conoscenza, aggiunge anche che il grado più basso, nell’erotismo, è toccato nella coazione a ripetere, da parte di colui che attraverso le avventure erotiche cerca di sfuggire alla decrepitezza. Insomma, ce n’è abbastanza per suggerire a certi politici di riformare i loro quadri di comportamento e di uscire dal ridicolo». Giordano Bruno, un po’ frastornato dall’Italia di oggi, che farebbe allora vedendo le donne scendere in piazza? «Direi che appoggerebbe questo movimento. È vero che a lui non piacevano le moltitudini, che preferiva la riflessione isolata. Ma penso anche che oggi, nella situazione di cui stiamo parlando, prevarrebbe in lui la componente della gioia e del furore, che faceva parte del suo carattere. Sì, direi di sì: scenderebbe in piazza». Francesco Romanetti