Giordano Bruno: “Processato dai protestanti, prima che dai cattolici, il filosofo-mago fu campione di doppio gioco” – di Francesco Agnoli, “Il Foglio”- giovedì 18 agosto 2005

Quando si parla di scienza e di Chiesa il tasso minimo di ideologia presente nell’aria esige che si faccia almeno un cenno a Giordano Bruno, e alla sua esecuzione in Campo de’ Fiori, a Roma. La fama del filosofo nolano, infatti, è dovuta senz’altro al fascino della sua morte, da ribelle impenitente, più che alla sua produzione culturale, così intrisa di magia, di astrologia, di vitalismo panteistico e, per questo, in nulla moderna, né scientifica (Frances A. Yates, “Giordano Bruno e la tradizione ermetica”, Laterza).
Una fama, dunque, ottenuta dopo la morte, ma cercata con ossessione durante tutta la vita, con una presunzione astrale, “accentuata dalle pratiche magiche cui Bruno si dedica con crescente intensità e che sviluppano in lui un senso di onnipotenza materiale e intellettuale assoluta” (Matteo D’Amico, “Giordano Bruno”, Piemme). Tutta la sua esistenza, infatti, è in vista di una affermazione personale, per sé e per la sua visione del mondo, contro avversari di tutti i paesi e di tutte le confessioni, che divengono via via “porci”, “pedanti”, “barbari e ignobili”. Il giovane Bruno è già un personaggio non comune, che ama raccontare di essere stato aggredito, a sassate, dagli spiriti, e che ha il suo primo importante scontro teologico nel 1576 con un confratello domenicano, riguardo alla dottrina di Ario, e il secondo nella capitale del calvinismo, a Ginevra. Vi giunge nel 1579, in cerca di fortuna.
Ma il suo comportamento è subito ambiguo e aggressivo a un tempo: da una parte abbraccia il calvinismo, per essere accettato nei circoli culturali e religiosi della città, e dall’altra attacca violentemente un professore del luogo, dando alle stampe un libello contro di lui, e, a quanto sostiene l’accusa, mentendo platealmente. Viene processato dai membri del Concistoro, non cattolico, ma calvinista, e costretto in ginocchio a lacerare il suo opuscolo, ammettendo la propria colpa. Lasciata Ginevra, che dunque non lo capisce, Bruno approda a Parigi nel 1581: la sua fama di esperto nell’ars memoriae gli vale la convocazione del re Enrico III, di cui diviene in breve intimo confidente. Dopo soli due anni Bruno finisce a Londra, presso l’ambasciatore francese Castelnau, in Salisbury Court, vicino al Tamigi. Qui, secondo le recenti indagini di John Bossy (“Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata”, Garzanti) svolge un lavoro di spionaggio contro l’ambasciatore francese di cui è ospite, a tutto svantaggio dei cattolici, arrivando addirittura a rivelare i segreti carpiti in confessione. Infatti, pur essendo già da tempo un feroce nemico del cattolicesimo e della Chiesa, considerati la causa della decadenza dell’Europa, Bruno si finge zelante sacerdote e celebra riti in cui non crede, nell’ambasciata francese, vantando d’altra parte la propria apostasia presso la corte di Elisabetta. Nel suo arrivismo giunge a svelare alla regina l’esistenza di un complotto catto-spagnolo, in realtà inesistente, contro di lei: scrive di esserne venuto a conoscenza in confessione.
Nessuno gli crede.
Alla ricerca di una cattedra a questo punto Bruno, sempre scalpitante, vuole una cattedra a Oxford. Come ottenerla? Si offre volontario, con una umile missiva, in cui si presenta così: “Professore di una sapienza più pura e innocua, noto nelle migliori accademie europee, filosofo di gran seguito, ricevuto onorevolmente dovunque, straniero in nessun luogo, se non tra barbari e gli ignobili… domatore dell’ignoranza presuntuosa e recalcitrante… ricercato dagli onesti e dagli studiosi, il cui genio è applaudito dai più nobili…”.
Alla terza lezione verrà accusato di plagio e invitato a togliere il disturbo; le sue invettive feroci contro i londinesi, e contro il prossimo suo in genere, gli procurano, probabilmente, un breve arresto e determinano il ritorno precipitoso a Parigi. Ma qui, nel frattempo, il clima politico è cambiato, e i Guisa, la nobile famiglia a capo della Lega Cattolica, ha sempre maggior potere: Bruno non esita a mettersi al suo servizio, e a chiedere di essere riaccolto “nel grembo della Chiesa catholica”. In realtà, ancora una volta, fa il doppio gioco, tessendo rapporti con i protestanti, benché nello “Spaccio della bestia trionfante” del 1584 avesse deprecato violentemente, in mille maniere, la figura di Lutero. Nello stesso periodo viene accusato da Fabrizio Mordente, inventore del compasso differenziale, di volergli carpire l’invenzione: Bruno infatti ne è entusiasta, ma come già per Copernico, ritiene che ai disprezzati matematici sfugga il valore magico ed ermetico delle loro scoperte, che lui solo, invece, ha la capacità di comprendere!

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