Chi era veramente Giordano Bruno?

A questa domanda sono state date, specie negli ultimi sette anni, a partire dal “giubileo bruniano” del 2000, le risposte più disparate. Manipolando con disinvoltura un pensiero e una produzione letteraria multiformi e magmatici, in parecchi si sono lanciati in interpretazioni il più delle volte arbitrarie e lontane dalla realtà del personaggio, per incompetenza o, peggio ancora, per partito preso. Mago, stregone, millantatore, spia, puttaniere, arrogante e presuntuoso attaccabrighe: queste le malevoli accuse rivolte al Nolano da baciapile clericali e neocon, o da nazionalisti anglosassoni travestiti da studiosi, ancora assetati di vendetta per come Bruno aveva trattato la rustica inciviltà della plebe inglese e l’ottusa pedanteria dei dottori di Oxford.

Nihil sub sole novum, come egli amava dire: questa storia va avanti ininterrottamente ormai da quattro secoli. Addirittura ci fu chi arrivò a sostenere che l’intera vicenda del rogo fosse tutta un’invenzione! Ancora oggi dobbiamo sentirci raccontare che, in fondo, storicizzando, Bruno fu trattato fin troppo bene, ospitato al Grand Hotel Tor di Nona  e torturato con una piuma sotto i piedi! Secondo costoro non ha nulla di barbaro rosolare a fuoco lento un pensatore, solo per aver asserito qualcosa di contrario ai dogmi della Chiesa cattolica! Arthur Schopenhauer, a quasi tredici secoli di distanza, ancora tremava al pensiero di “quell’essere delicato, spirituale e pensoso nelle mani di rozzi preti rabbiosi quali suoi giudici e carnefici”.

Guasti ancor maggiori producono coloro che, accecati da un anticlericalismo bieco al punto da far diventare simpatici perfino i suoi carnefici, propagano idiozie come quelle di un Bruno “ateo” o addirittura “femminista”! Pensatore difficile, dallo stile ostico, soprattutto per chi non si prende minimamente la briga di leggerlo, non potendone contestare l’indubbia grandezza in campo speculativo, si è sempre cercato di criticarne il carattere, da lui stesso definito “restio e bizzarro”. In realtà egli sapeva essere altrettanto  riconoscente nei confronti di chi gli dimostrava rispetto e tolleranza, quanto irascibile con chi lo trattava in modo ostile.

Come avrebbe potuto sopportare passivamente il disprezzo di oscuri pedanti o di studiosi con la puzza sotto il naso, al suo confronto ricchi di mezzi ma scarsi d’ingegno, un uomo che riscuoteva l’ammirazione e la confidenza di sovrani del calibro di Enrico III di Francia o Elisabetta I d’Inghilterra? Come volete che potesse occuparsi di spionaggio colui la cui mente era intenta a spaziare nell’universo per comporre opere immortali come il De minimo o il De immenso? E se anche fosse, si storicizza la condanna della Chiesa, definendola adeguata ai tempi, e non si considera che un umile prete scomunicato, inviato a Londra al seguito dell’ambasciatore francese, doveva, se richiesto, rendere conto all’imperatore suo protettore delle trame di cui fosse venuto a conoscenza? Se poi ve lo figurate come un’attivista in giro per le corti e le accademie per sostenere i diritti dei liberi pensatori, vi sbagliate ugualmente di grosso. Egli non fu un martire, fu semplicemente un pensatore coerente fino allo stremo. Al di là delle ritrattazioni, delle parziali abiure, delle contraddizioni, che testimoniano, semmai, tutta la sua profonda umanità, quel che conta, e che nessuna delle generazioni venture gli negherà, è l’essere andato fino in fondo, a fermo viso.

Bruno era uno di quegli esseri geniali in anticipo sui tempi, quei Mercuri inviati sulla terra in tempi stabiliti, ispirati da una visione profetica dell’umanità e dell’universo. Come tutti gli esseri di tal fatta egli è stato e sarà sempre odiato dai meschini pedanti, invidiosi di tutto ciò che non arrivano a capire, da quegli uomini “piccolini” chiusi nel loro ottuso particulare per non svanire al confronto dell’immenso, insomma da quei corpi umani con anime bestiali che il Nolano smascherò col suo Circino incantesimo. Era uno che conosceva il proprio valore e rispettava quello degli altri, quello vero però, non quello stabilito dalle consuetudini e dalle convenienze. Era uno che diceva pane al pane e vino al vino. Era uno che amava la vita in tutti i suoi aspetti e che in tutte le sue manifestazioni riconosceva l’espressione della divinità. Era uno che credeva nell’uomo, quello vero, corpo e anima doc: l’unico capace di giungere, attraverso un “disquarto” intellettuale, alla visione dell’eterno. Ed era, questo si, il nemico implacabile e convinto di tutti “quegli uomini stolti e ignobilissimi che non riconoscono nobiltà se non dove splende l’oro, tintinna l’argento, e il favore di persone loro simili tripudia e applaude”. Sono parole tratte dall’ Oratio Valedictoria, una delle “Due Orazioni” (l’altra è la Consolatoria) pronunziate durante il suo soggiorno in Germania e di cui esce, proprio in questi giorni presso l’editore Di Renzo, una mia traduzione . Vi si trovano, celati sotto il magniloquente tono d’occasione, gli ideali che Bruno perseguì durante tutta la sua vita, fino all’estrema conseguenza del rogo di Campo de’ Fiori. Quel triste epilogo sarà stato pure inevitabile, per come andavano le cose a quel tempo, ma rimane ugualmente il monito più emblematico e rappresentativo, acché una simile infamia non si ripeta mai più.