Lettera aperta al Direttore de “Il Foglio”

Caro Direttore,
vorrei esprimere qualche considerazione sui due articoli su Giordano Bruno, apparsi sul Suo giornale a firma di Francesco Agnoli. Più volte in passato è accaduto che qualcuno sentisse il bisogno, chissà perché, nei momenti più impensati, di scrivere qualcosa di denigratorio su Bruno, a cominciare da Montanelli per arrivare a John Bossi e ai suoi seguaci (tra i quali si situa con orgoglio l’autore dell’articolo in questione), buon ultimo quel Richard Newbury, che fece la sua sortita l’anno scorso sulle pagine del Corriere della Sera, col titolo significativo di “Italiani in Inghilterra”. Ciò che accomuna tutti costoro è il fatto di non aver letto una pagina, che sia una, delle opere di Bruno e arrogarsi, nonostante ciò, il diritto di sputare sentenze, manipolando sempre le stesse trovate denigratorie di Frances Yates, di John Bossi o di R.W. Pogge (altro campione dell’anti-brunismo).
Guarda caso si tratta sempre di autori di lingua anglo-sassone, che non hanno ancora digerito le critiche che Bruno rivolse nella Cena delle Ceneri alla loro patria, ove regnava ” una costellazione di pedantesca ostinatissima ignoranza e presunzione, mista con una rustica inciviltà che farebbe prevaricar la pazienza di Giobbe”.
Questa volta il fatto assume maggiore gravità perché a parlare non è il solito frustrato anglosassone, incarognito dalle critiche feroci del Nolano e che potremmo limitarci a compatire, interpretandone le parole come una squallida vendetta postuma. Stavolta si tratta di un italiano, che dovrebbe semmai esaltare la figura di uno dei pochi nostri pensatori ammirati e rispettati all’estero ancor più che in patria, anziché divertirsi a sbeffeggiarlo e neanche con argomenti originali, ma rimestando la solita brodaglia allestita dai nemici d’oltre manica. Almeno Montanelli, nella sua rancorosa invettiva contro il Nolano aveva avuto l’onestà di dichiarare che della sua voluminosa opera non aveva letto che pochissime pagine. Costui, pur avendone lette probabilmente ancora meno, vuole invece presentarsi addirittura come un fine conoscitore delle vicende bruniane, rivisitando a puntate, come un feuilleton, l’intera vita del filosofo, in una prospettiva da Codice Da Vinci, per cui il “Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata” di John Bossi, anziché un romanzo di genere, assume il rigore scientifico di una biografia storica.
Come è possibile, senza tradire l’onestà intellettuale, trascurare i ricchissimi contributi che studiosi del calibro di Aquilecchia, Badaloni, Ciliberto, Ordine etc. hanno offerto alla critica bruniana e servirsi invece della biografia romanzata di un D’Amico? Non si riesce nemmeno a provare indignazione, si resta semplicemente allibiti da tanta pochezza: l’articolo non dice un bel niente di nuovo, nemmeno in negativo, rimasticando concetti triti e ritriti, già smontati e ridicolizzati più volte in passato e, soprattutto, lascia perplessi di fronte al ben più inquietante interrogativo di cosa ci sia dietro un attacco così becero e ingiustificato. L’articolo di Agnoli denota soltanto una totale impreparazione sull’argomento e una mancanza assoluta di originalità critica, il tutto per raggiungere il solito autolesionistico obiettivo di gettare fango su uno dei pochi nostri conterranei amati e rispettati all’estero, nel tentativo malevolo di abbattere un mito postumo, quello del “martire del libero pensiero”, da Bruno mai richiesto né alimentato, tanto lontano rimane dalla sua weltanschauung. Se di un mito si può parlare a proposito di Bruno, è quello di un grande personaggio, di un profeta, che ha lasciato traccia di sé nei più svariati campi dello scibile, dall’astronomia alla filosofia, dalla fisica al teatro, e viene oggi ammirato in tutto il mondo.
Basti pensare alla venerazione che nutrono nei suoi confronti i tedeschi, di cui è nota la passione per la filosofia e la cultura. Lo sa Agnoli, quando blatera di interpretazione magica ed ermetica delle scoperte di Copernico, che il polacco, pur dimostrando la centralità del sole rispetto ai pianeti, continuava a considerare, nel suo sistema, la sfera delle stelle fisse come un limite invalicabile, che fu il Nolano ad abbattere coraggiosamente, affermando l’infinità dell’universo? In paesi culturalmente avanzati come quelli scandinavi si insegna da tempo, già ai bambini delle elementari, che l’evoluzione della concezione dell’universo passò attraverso tre teorie successive: la tolemaica, la copernicana e, appunto, la bruniana.
Il fatto è che quando qualcuno si cimenta nell’impresa di scrivere un articolo su Bruno, si accorge che studiare seriamente (come richiederebbero la complessità dell’argomento e la serietà professionale) le opere del filosofo, è compito tutt’altro che liquidabile in quattro appuntini, come d’abitudine, per cui niente di più comodo, per creare qualcosa di giornalisticamente provocatorio, che attingere all’archivio dei “pezzi scandalistici”.
Voglio pensare, Direttore, per la stima che nutro nei confronti suoi e del suo giornale, che si sia trattato di un semplice incidente di percorso e il modo brusco in cui l’impresa si interrompe alla seconda puntata, proprio ai piedi del rogo, dove più crudelmente si sarebbe potuta scatenare la furia maligna dell’autore, mi fa pensare che qualcuno in redazione si sia alfine accorto dell’errore commesso e abbia posto fine a tale scempio.

Leggi gli articoli di Francesco Agnoli

Leggi il commento di Pierluigi Panza

Leggi il commento di Anna Foa

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