La storia del monumento di Pietrasanta

Il monumento di Campo de’ fiori non è l’unico ad aver una storia da raccontare. Oggi vi racconto quella del monumento inaugurato a Pietrasanta, il 19 maggio 1909 e degli avvenimenti che lo accompagnarono. Devo ringraziare per questa ricostruzione Cinzia Bibolotti, discendente dell’autore della scultura Antonio Bozzano, che ne ha finanziato personalmente il restauro nel 1998 e mi ha gentilmente fornito il materiale per questo articolo.

L’incarico di realizzare l’opera era stato affidato ad Antonio Bozzano, docente di scultura al locale Istituto d’Arte “Stagio Stagi”. In questi termini, accettando la proposta, lo scultore rispondeva a Giuseppe Parma 13 novembre del 1908:

“Ebbi la tua graditissima dalla quale sento con piacere che la Commissione incaricata per l’erezione d’un ricordo marmoreo al grande Nolano, Giordano Bruno, ha pensato al mio povero nome, e per questo sento il dovere di ringraziarla anzitutto, come pure te ringrazio, per il voto di stima al quale farò tutto il possibile per non venirne a meno. Onorare i grandi, è opera lodevole di un popolo civile, ma doveroso è onorare i Martiri ed io per questo benché poca cosa, cercherò premere meglio che potrò al mio povero cervello e con tutta la buona volontà e amore che porto all’arte mia procurerò rendermi degno della vostra stima e far sì che la nostra cara e bella Pietrasanta non sia l’ultima nell’onorare i grandi col massimo decoro.”

All’epoca del busto per Giordano Bruno il professor Antonio Bozzano aveva da poco passato i 50 anni. Era nato a Genova nel 1858 e nella città ligure aveva compiuto le prime significative esperienze artistiche. Nel 1883, per una manifestazione in solidarietà con le vittime del terremoto di Casamicciola realizzò in gesso una raffigurazione della “Beneficenza” che gli procurò una medaglia d’argento. Altri riconoscimenti li ebbe per i lavori allestiti per le celebrazioni colombiane. Ma i lavori più interessanti di questo suo periodo si trovano al Cimitero di Staglieno, dove collocò i monumenti funebri per il marchese Giovan Battista Monticelli, per le famiglie Defornari, Callegari e per la marchesa Anna Pizzorno Zoagli.

La sua presenza in Versilia data dal 1893 quando assunse l’incarico di insegnante di scultura allo “Stagio Stagi” di Pietrasanta. Da allora per quasi quaranta anni Bozzano è stato la guida effettiva del gusto e della sensibilità di generazioni di artisti che si sono formati nella scuola pietrasantina. Ma il suo magistero veniva ed andava più nel profondo: coinvolgeva la maturazione ideale degli allievi che avevano in Bozzano una sorta di padre spirituale. Così, ad un anno dalla sua morte, avvenuta nel 1939, lo scultore veniva ricordato:

“Antonio Bozzano fu veramente un Maestro, poiché esercitò sempre l’opera sua, nella scuola e nel suo studio, in una continua e feconda comunione spirituale coi suoi discepoli; a cui fu sempre prodigo, con cuore generoso e paterno, di incoraggiamenti, di consigli, di guida, di aiuti. Lavoratore indefesso. Sereno, umile, cortese, umanissimo; ossequiente al dovere ed agli impegni, comunque assunti, fino allo scrupolo; e in modo speciale buono, di una bontà effusiva e insieme creativa, la quale gli balenava nella mitezza e nella chiarità dello sguardo; nel sorriso aperto e gioviale, e si rivelava nella dolcezza della parola e nella probità delle opere. Chi lo avvicinava, sentiva subito il calore della di lui anima di fiamma, e ne era preso, toccato nel profondo. Nella Grecia antica si vide nel Maestro il tipo ideale di una vita più vicina a quella di Dio che a quella degli uomini. Antonio Bozzano merita di essere, come Maestro inquadrato e veduto in questa luce.”

Bozzano non deluse i committenti. Il suo busto di Giordano Bruno, che si ergeva indenne dalle fiamme del rogo, dava un’efficace raffigurazione all’intensità del dramma vissuto dal frate nolano. Il volto pensoso attraversato dalla sofferenza era reso di una coinvolgente dolcezza dallo sguardo rivolto al tempo a venire. I tempi, questo il significato dell’intervento di Bozzano che sapeva così raccordarsi ai sentimenti dei promotori, avrebbero assegnato la vittoria a Bruno sui suoi carnefici. Quei tempi, così almeno lo intendevano i liberi pensatori, finalmente erano maturati. Ettore Ferrari, Gran Maestro della Massoneria italiana, autore del Giordano Bruno eretto nel 1889 in Campo de’ Fiori, giudicò il lavoro di Bozzano “bello di linea, di espressione e di modellatura”. Ci pensò Pietro Gori, il bardo dell’anarchia, a trovare le parole adatte per tradurre il senso dell’opera dello scultore pietrasantino.

   

Dalle cronache del tempo abbiamo i resoconti della manifestazione per l’inaugurazione del monumento. Fortemente polemica la stampa cattolica che si scagliò contro l’iniziativa pietrasantina.

“L’Eco versiliese”, portavoce di questi ambienti, arrivò a definire Giordano Bruno “lacché de l’infame Isabella (…) baciascarpe dei grandi, disprezzatore degli umili, incensatore dei tiranni” che aveva come unico merito quello di “essere stato porco e aver tradito i suoi doveri e la sua religione”. Per settimane quel giornale continuò ad occuparsi della questione e per sostenere le sue posizioni utilizzò anche un articolo di Luigi Salvatori, la guida dell’estrema socialista versiliese, che si era mostrato assai freddo nei confronti del monumento. Una qualche soddisfazione il giornale l’aveva provata quando aveva saputo che il monumento a Bruno non sarebbe stato eretto nella piazza principale di Pietrasanta, sulla quale si affacciava il Duomo, ma le sue preoccupazioni per il significato e le conseguenze dell’iniziativa dei liberi pensatori non diminuivano. Da questi timori nasceva l’appello rivolto al buon popolo versiliese a non lasciarsi abbagliare dai nuovi idoli ed a riflettere bene “avanti di rinunciare ai santi vecchi e benefichi.”

Dal canto loro i promotori del monumento facevano di tutto per alimentare queste paure. Nel numero unico che venne diffuso il giorno dell’inaugurazione scrivevano:

“Il nostro scopo è quello di far progredire l’umanità che, per tanti secoli, schiava della superstizione religiosa, ha subito il giogo dei tiranni e dei preti di tutte le religioni. È logico che le forze contrarie a questo progresso resistano accanitamente, ma dovranno cedere e quanto più lavoreremo, quanto più combatteremo, più presto cederanno. La nostra bandiera, su cui è scritto a caratteri indelebili, ad infamia dei suoi carnefici il nome di Giordano Bruno, è spiegata completamente e il nostro dovere, finché la chiesa avrà quella preponderanza perniciosa al progresso dell’umanità, è di tenerla tale. Ed è appunto nel nome di Giordano Bruno, erigendogli un busto, che Pietrasanta si afferma anticlericale. Egli è leggendario nel po-polo, è il martire più nobile della scienza e del pensiero e glorificarlo indica maledire la chiesa che lo fece ardere, è affermare la nostra libera coscienza di anticlericali ed è anche un ammonimento per l’avvenire. (…) Il busto di Giordano Bruno, a cui le nuove generazioni si ispireranno a propositi virili, a concetti grandi e sublimi da cui impareranno a non implorare nessun idolo, ma ad aver fiducia in loro stesse, dica al passeggero venuto in questa cittadina che Pietrasanta si è mantenuta fedele al suo Gran Figlio: Giosuè Carducci.”

 
 

L’ampia cronaca ospitata dal “Versilia Nova” organo dei socialisti di quella regione, riesce a farci intendere il clima di quella giornata vissuta da molti degli intervenuti con una forte partecipazione emozionale. Un corteo, aperto dalla filarmonica cittadina, composto dai rappresentanti delle associazioni popolari con bandiere e gonfaloni, percorse le vie di Pietrasanta ed andò alla stazione ad accogliere i compagni che arrivavano con treni provenienti da Pisa e da Genova. Anche loro portavano insegne e stendardi. Dalla stazione il corteo, visibilmente ingrossato, si diresse alla piazza della Giudea, dove, in una parete di casa Tonacchera, era stato collocato il monumento.

Pietrasanta, lo affermava il cronista del “Versilia Nova”, “mai come in questo giorno vide riuniti per una così grande e solenne manifestazione civile, tanti rappresentanti della democrazia italiana, convenuti qua non solo (ne sia certo il compagno Salvatori) per commemorare G. Bruno, poiché noi con l’erezione del monumento ad una delle tante vittime della Chiesa cattolica, abbiamo inteso scolpire nel marmo l’idea nostra, ribelle ad ogni e qualunque imposizione dogmatica.

Raggiunto il luogo della cerimonia “le innumerevoli bandiere, disposte in semicerchio ondeggiavano: la musica intonò l’inno di Garibaldi ed il popolo acclamò. Viva Giordano Bruno… Questo grido partito da mille petti fu una protesta contro la monarchia italiana, dimentica delle sue più nobili tradizioni e un monito per il governo prostituito al Vaticano”. Allora, “illuminata dal sole di Maggio, la figura del ribello Nolano si presentò nell’imponenza della sua fierezza”

Cominciò poi la serie dei discorsi. Aprì Tonacchera, che lesse anche le adesioni pervenute e proseguì l’on. Otello Masini, che tenne l’orazione ufficiale della mattinata. Agli intervenuti furono vendute le cartoline e le medaglie, realizzate su disegni di Antonio Bozzano ed il numero unico “A Bruno la Versilia” che, assieme a brani dei vari campioni del libero pensiero ed a messaggi di circostanza, presentava scritti del socialista lunigianese Luigi Campolonghi, dell’anarchico pisano Gino Del Guasta, di Alcide Sarti, una poesia del falegname Santini che concludeva così: “L’Itala razza abbatte i romani furori/E leva il grido: Gloria all’immortal Giordano!”

   

Al pomeriggio in Sant’Agostino “assolutamente stipato di gente” altri discorsi: del pubblicista Mori di Carrara e dell’avvocato Francesco Bianchi di Lucca. Dotato di un’oratoria immaginifica, era specializzato in commemorazioni dei vari martiri del libero pensiero. Parlò, per circa un’ora “fra l’attenzione di qualche migliaio di persone illustrando minutamente la vita del filosofo, suscitando infine un uragano d’applausi”. Dal Sant’Agostino nuova sfilata verso la stazione per accompagnare gli intervenuti, e da qui alla sezione del Libero Pensiero. Ma la giornata non era conclusa: in piazza Umberto la filarmonica cittadina volle onorare l’avvenimento eseguendo “uno dei suoi migliori programmi.”

Raccogliendo e valutando gli elementi forniti dalle cronache è possibile trovare conferma dell’importanza dell’avvenimento. Per ricostruire non solo la storia politica, ma anche il processo di formazione della mentalità della Versilia di inizio secolo non si può evitare il monumento a Giordano Bruno. Proprio il carattere che la manifestazione assunse la qualifica come una di quelle vicende che condensano motivi e suggestioni che appartengono alla elaborazione del senso della vita, alla maturazione di un orizzonte culturale e ideale, alla formazione dell’immaginario di singoli come della comunità.

Già da qualche nome che è stato citato abbiamo l’indizio del circuito attivato dall’iniziativa, che vide il concorso ed il sostegno degli esponenti dell’inquietudine e della protesta sociale e politica dell’area apuo-tirrenica.Con Luigi Campolonghi e Vico Fiaschi entriamo nella “catena” che conduce alla ceccardiana “Repubblica d’Apua”: il mito della “terra dei liberi e forti” dalla quale verrà una nuova primavera del mondo. Sulla stessa lunghezza d’onda veleggiava l’anarchico pisano Del Guasta, che già nel 1907, commemorando Carducci, si era fatto apprezzare a Pietrasanta, per la celebrazione in chiave prometeica dei lavoratori del marmo. Adesso, nello scritto che appariva sul numero unico, dava un altro saggio della sua propensione profetica. Invitava i “compagni di Pietrasanta” ” a baciare per lui la fronte turrita dell’Eroe che portò il sanguinante serto del martirio. (…) Non vedete come scruta con gli occhi aquilini il mare lontano e scintillante, caro a Shelley, dove sorgerà l’imminente sole della resurrezione sociale? (…) Prendete i vostri scalpelli, o artefici che infondete nella creta col fremito digitale gli spiriti delle vostre visioni di dolore, di amore e aspirazione, e con l’alato spirito di Bistolfi incidete sull’erma marmorea di G. Bruno la primaverile promessa, contro preti e tiranni – Germinal!”

Una forte emozione anche di origine estetica percorreva la manifestazione. La cerimonia, intesa e vissuta come un rito della nuova fede, si svolgeva attorno ad un’opera d’arte. Il “Libero mondo», il coagulo di tutte le ansie redentrici e rigeneratrici, era insieme esito e celebrazione della vittoria del Bello. Una affermazione che aveva anticipazioni in giornate come quella pietrasantina, tutta pervasa dalla sensazione di “nuovo inizio”. A certificare l’autenticità ed a dare la testimonianza della congiunzione tra passione politica ed impegno artistico provvide Plinio Nomellini, il “pittore del sogno”, che intervenne alla manifestazione per Giordano Bruno e tributò elogi ad Antonio Bozzano per il “riuscitissimo lavoro”.

 

Immagine Scintilla Bruniana N° 2

L’argomento della seconda “ Scintilla Bruniana ” è il confronto con Cristo, frequente nelle opere di Giordano Bruno. Il Nolano ne rispetta la figura profetica ma ritiene inconcepibile la sua doppia natura, umana e divina. Nello “Spaccio de la bestia trionfante” lo paragona ironicamente al centauro Chirone, mezzo uomo e mezzo bestia.

La citazione è tratta dal libro di Guido del Giudice “Io dirò la verità. Intervista a Giordano Bruno”.

Acquista il libro

Scintilla Bruniana #2

Immagine Scintille Bruniane

Da questa settimana Vi riproporrò le 52 “Scintille bruniane” tratte dai miei libri: “Scintille d’infinito”, “Io dirò la verità” e “La coincidenza degli opposti”. Sono il frutto di 25 anni di studi su Giordano Bruno, che mi hanno consentito di scandagliare la sua vita e il suo pensiero. Cominciamo con una citazione che evidenzia il rispetto nei confronti della natura, che per il Nolano è “divina” in tutte le sue manifestazioni. L’uomo ha raggiunto una supremazia sulle altre specie soltanto grazie allo strumento che gli è toccato in sorte: la mano.

La citazione è tratta dalla “Cabala del cavallo pegaseo” (Dialogo II), e fa parte della mia antologia “Scintille d’infinito”.

Acquista il libro

citazioni no-fake dalle opere di Giordano Bruno e Guido del Giudice
Scintilla bruniana #1

Gemellaggio Napoli-Nola nel segno di Giordano Bruno

Celebrato a Napoli il 7° anniversario dell’ “Aiuola del libero pensiero Giordano Bruno”, con un gemellaggio “naturalistico” tra la città natale e quella di adozione del grande filosofo.

Gemellaggio Napoli-NolaNapoli, 16 Dicembre. Una suggestiva cerimonia si è svolta a Napoli presso l’ “Aiuola del libero pensiero Giordano Bruno”, in occasione del 7° anniversario della sua inaugurazione. Quest’anno lo scrittore e studioso Guido del Giudice, presidente della Giordano Bruno Society, ha proposto un gemellaggio “naturalistico” tra la città di Nola che diede i natali al filosofo e quella di Napoli che lo allevò ed istruì.

Una folta delegazione Nolana, capeggiata del sindaco Carlo Buonauro e dall’assessore alla cultura Vincenzo Martone, ha raggiunto piazza Sannazzaro dove una pianta di melograno proveniente dal borgo natale del filosofo è stata trapiantata nell’ Aiuola. Partner dell’iniziativa il Comitato “Il Papavero” per la salvaguardia della Collina di Castel Cicala della dinamica Carolina Masucci, che ha consegnato a Del Giudice una targa commemorativa dell’evento.

Guido del Giudice ha ricordato l’attenzione che Bruno ha sempre dimostrato per la Natura, da lui definita “Dio nelle cose”. L’importanza attribuita all’interconnessione di tutti gli esseri – animali, piante, minerali – ne fanno a pieno titolo un ambientalista ante-litteram. Lo scrittore ha poi affascinato i presenti citando un brano del “De imaginum compositione”, un’opera di arte della memoria, in cui Bruno descrive la figura mnemonica di Venere come una bellissima donna recante “nella destra un papavero, nella sinistra un melograno”. Una curiosa coincidenza che è stata accolta come una ennesima profezia del Nolano!

Nel suo discorso di saluto il sindaco di Nola ha rimarcato l’importanza dei luoghi, per rafforzare i sentimenti di libertà: “Il pensiero non ha confini, non ha barriere. Affonda le radici in un posto, ma poi protende le sue cime in un altro. Mare, collina, montagna si fondono nella libertà e nella profondità del pensiero. È questo il significato – ha concluso Buonauro – che bisogna promuovere e trasmettere alle nuove generazioni.”

Il “Candelaio” in versione moderna (di Daniele Trucco)

Copertina CandelaioLeggere Giordano Bruno in latino, si sa, è un’impresa ardua anche per un esperto latinista; leggerlo in volgare però non è cosa da meno. Il filosofo utilizza notoriamente un periodare complesso e si fa gioco della lingua piegandola a suo uso, con il risultato di rendere ostica la comprensione del testo da parte del lettore moderno. Con questo non si vuol di certo sostenere che chi lo leggesse nel XVI secolo fosse tanto avvantaggiato ma se non altro era più avvezzo a certi vocaboli ed espressioni. Anche per questo il volgare del Bruno ha avuto un impatto decisivo nel campo filosofico-scientifico, aprendo altresì infiniti mondi anche nell’ambito linguistico. Le opere ‘italiane’ oltretutto nascono tali per la grande lungimiranza del nolano, avendo già intuito (come poi farà il Galilei) l’importanza, per la diffusione di un concetto, di abbandonare in alcuni frangenti il latino: maggior consenso e circolazione di idee ne ottenne, e non solo in Italia. Nell’introduzione a questa edizione del Candelaio, Guido del Giudice cita le parole del filosofo estrapolate da un suo intervento a Oxford: “Tutte le scienze traggono giovamento, per la loro diffusione, dall’aiuto delle traduzioni”. Lungimirante due volte dunque il Bruno: la lingua dei dotti per i dotti e le altre per gli innovatori; ecco perché questa edizione penso sarebbe stata ben accetta dall’autore. Naturalmente in questo caso non si tratterà di traduzione essendo l’opera originale già scritta in italiano ma di una sua resa più attuale. Si dedica a questo compito Gianmario Ricchezza, già avvezzo in passato (e con successo) alla complessa operazione, rendendo la prosa originale decisamente più fruibile e scorrevole; ci si stupisce nel leggere questo ‘nuovo’ Candelaio di come tutto risulti facile e attuale, depurato da quegli arabeschi così tanto efficaci per i conoscitori del repertorio linguistico rinascimentale quanto quasi incomprensibili per il distratto e superficiale popolo del web. Sull’opera e sulla sua analisi in particolare si è già detto quasi tutto: basti sapere che la commedia è in cinque atti e si svolge tutta in una sola notte napoletana del 1576, nel pieno rispetto delle classiche unità aristoteliche. Quello che colpisce subito il lettore però è il frontespizio, in cui si dichiara l’opera essere stata scritta da un Academico di nulla Academia, detto il Fastidito, espressione tipicamente bruniana che già ci fornisce la marca di tutto il suo lavoro: nell’estraneità dal pedante mondo accademico sta la sua distinzione; nel suo disgusto verso le convenzioni sta la sua forza di trasgressore, trasgressione – come già ricordato – anche linguistica e rintracciabile fin dal vocabolo finemente ambiguo che dà vita al titolo. Al di là dell’intreccio, nel quale il tempo, l’amore e la cupidigia fanno da temi portanti, la cosa che colpisce è la mancanza di quel lieto fine tanto atteso nella maggior parte delle opere di siffatta natura e già preannunciato dall’etichetta stessa di commedia. Con il Candelaio si sviluppa una indagine, come quella che il Machiavelli fece con la sua Mandragola, sulla natura umana dipingendo il mondo qual è senza pregiudizi né falsi buonismi. E anche per questo l’opera fu inserita – insieme a tutte le altre del Bruno, non lo si dimentichi – nell’indice dei libri proibiti nel 1602. Una nota tecnica su questa edizione: il testo della commedia è corredato da rimandi esplicativi in appendice, utili per sanare lacune su termini specifici o fatti storici ma che possono essere tralasciati senza perdere la godibilità della lettura. L’intenzione dei curatori non è stata infatti quella di editare una versione per gli addetti ai lavori con riferimenti bibliografici in nota e approfondimenti critici ma, una volta tanto, per tutti. Non spaventi dunque leggere il nome di Giordano Bruno in copertina; anzi, lo si legga senza remore e pregiudizi in questa godibilissima versione che, oltretutto, rappresenta il punto di partenza per la pubblicazione di tutte e sette le opere italiane del Bruno a cura della Di Renzo Editore.

Manta, 9 ottobre 2022

Acquista l’opera sul sito dell’editore

Che meraviglia questo “Candelaio”!

Che meraviglia questo Candelaio! Pubblicata la versione in lingua moderna della celebre commedia di Giordano Bruno

Copertina CandelaioIl Candelaio, commedia esuberante e innovativa, inaugura la prima edizione completa in italiano moderno delle sette “Opere italiane” di Giordano Bruno. A dirigere la collana è lo studioso napoletano Guido del Giudice, affermatosi negli ultimi decenni come uno dei più profondi conoscitori del filosofo Nolano.

Il Candelaio è la prima opera data alle stampe da Bruno, al suo arrivo a Parigi nel 1582. La sua ambientazione napoletana rivela tutta la nostalgia per la patria che ha dovuto abbandonare e che mai più rivedrà. Anche qui Bruno manifesta la sua genialità, regalandoci una commedia (l’unica da lui scritta) la cui portata innovativa influenzerà tutto il teatro comico successivo. La scelta del volgare per le sue opere più importanti, in un’e­poca in cui la lingua dei dotti era il latino, at­testa la volontà del filosofo Nolano di farsi ascoltare da un ampio pubblico nel modo più chiaro possibile. Questa esigenza è diventata nuovamente attuale oggi che il volgare cinquecentesco risulta ai più di non agevole lettura.

Abbiamo chiesto a Del Giudice cosa l’abbia spinto ad affrontare una sfida così coraggiosa.

“Per me rappresenta il coronamento di una missione che mi impegna da decenni: far conoscere gli scritti del Nolano al grande pubblico. L’impresa non sarebbe stata possibile senza un editore intraprendente che sposasse il progetto e un linguista preparato con cui condividere il lavoro di traduzione, ma ho avuto la fortuna di poter contare su un binomio d’eccezione. Sante Di Renzo, cui mi lega un lungo e fecondo sodalizio, è diventato, per numero e qualità dei titoli in catalogo, l’editore di riferimento per i testi di Giordano Bruno.

Dal canto suo, lo studioso torinese Gianmario Ricchezza, che da anni si cimenta col volgare del Nolano, è una garanzia di accuratezza linguistica e correttezza interpretativa”.

A giudicare dall’esordio, l’avventura è partita con il piede giusto. Il Candelaio, senza tradire stile e contenuti, risulta, in questa lettura, più effervescente che mai. L’apparato di note, esauriente e di comoda consultazione, illumina, in particolare, la pittoresca cornice della Napoli del Cinquecento. Un testo immortale, pronto ad entusiasmare il lettore e, perché no, a trasferirsi immediatamente sul palcoscenico!

Acquista sul sito dell’editore

Leggi la recensione di Daniele Trucco

Il Monte Taigeto e la Rupe Tarpea: “ Richard W. Pogge ”

L’astronomo americano Richard W. Pogge nel 1999 scrisse una tesina dall’eloquente titolo The folly of Giordano Bruno nella quale sosteneva che Bruno non fosse altro che un picchiatello. All’epoca non l’avevo neanche preso in considerazione, come non avrei considerato una tesi che avesse sostenuto che Michelangelo fosse soltanto uno scalpellino. Ma passano i lustri ed eccolo ancora lì in internet, ridanciano e trionfante nelle sue asserzioni e addirittura coperto da Copyright! Allora, infastidito dalla petulante litania, che non proviene da un bischero qualunque ma da un famoso titolare di cattedra, l’ho voluto sottoporre ad opportuna spulciatura. Non è la prima volta che Bruno viene trattato da pazzacone, come si usava dire: accuse di quel genere, colme di acredine e livore, gli erano già state mosse nel 1583 da George Abbot, un ecclesiastico che, ascoltando il filosofo a Oxford, tra altri argomenti di sicuro molto validi intellettualmente, come quello sulla scarsa statura dell’oratore, aveva scritto: egli intraprese il tentativo di far stare in piedi l’opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi; mentre, in realtà, era piuttosto la sua testa che girava e il suo cervello che non stava fermo . Ma se l’astio a priori poteva essere giustificato in un risuolatore di coscienze del Rinascimento, è curioso ritrovarlo oggi, dopo il lungo fluire del tempo che avrebbe dovuto portare quanto meno a prudenza, se non a saggezza. Evidentemente lo scrutatore celeste si ritiene in diritto di discettare anche al di fuori delle sue conoscenze, altrimenti non darebbe del folle al più grande filosofo italiano, rischiando oltretutto di fare la figura di Orlando sulla luna. Ma tant’è, viviamo in un’epoca di revisionismi operati da chiunque si affacci su un palcoscenico, spesso gonfio di arroganza pari all’ignoranza. Nella tesina, stucchevole come una Danza delle ore di Ponchielli fuori tempo, compaiono inoltre alcuni svarioni, ripetuti: come il nome del Bruno, Fillipo (sic) e l’anno della sua estradizione a Roma, 1592 (in realtà 1593), nonché la doppia indicazione di Campo di Fiore. Il professore se la prende col Bruno perché non era un astronomo e dimostrava secondo lui (che può avvalersi di quattro secoli di innumerevoli osservazioni altrui e di giganteschi strumenti) scarsa conoscenza dell’astronomia. Lo accusa anche di aver tratto alcune sue tesi dagli scritti di un matematico e astronomo inglese Thomas Digges, pubblicati in inglese nel 1576. Lo considera pertanto come una persona che si sovrastimava e presentava l’indubbio marchio di follia. Sufficit. Come tutti sanno, Bruno si dichiarò sempre e unicamente filosofo e, avvalendosi solo della sua mente, andò ben oltre le concezioni di Copernico e anche del Digges, che, al contrario del Copernico, rimase limitato alla sua epoca. Col tempo, sono state riconosciute come geniali alcune osservazioni del Bruno perfino in campo astronomico, come quella che le stelle appaiono fisse a causa della loro grande distanza . Ma è alla fine del suo saggio che il professore dà il meglio: fu solo un caso, sostiene, se il Bruno diventò famoso e non rimase una semplice nota in un testo sul 1500, perché, giocando d’azzardo, azzeccò il cavallo vincente, vale a dire quella che nel tempo si sarebbe rivelata come la realtà dei fatti. Così conclude, sarcasticamente, che la storia è divertente in questo. Complimenti professore, davvero divertente.

Gianmario Ricchezza

17 febbraio 2022: Giordano Bruno “ritorna” in un video.

miniatura video CicalaGiordano Bruno con il suo sacrificio ci ha insegnato a mantenere viva la fiammella della memoria. Lezione attualissima anche in questo secolo dove la verità viene continuamente messa in discussione. Grazie all’impegno visionario del noto studioso bruniano Guido del Giudice e del giovane video-maker Giuseppe Barbato, Giordano Bruno è venuto a sostenerci con la sua ideale presenza in un momento così delicato per la libertà di pensiero. Lo ha fatto grazie a un emozionante video, in occasione dell’anniversario del misfatto perpetrato dalla Chiesa Cattolica 422 anni fa. Le riprese sono state realizzate, seguendo un itinerario che, partendo dalla collina di Castel Cicala, che diede i natali al filosofo, si è diretto verso la piazza a lui dedicata dalla città di Nola. Il passaggio successivo ha toccato una location inusuale: l’Interporto Campano, dove è stato realizzato un originalissimo murales. Il suggestivo viaggio si conclude a Napoli, in piazza Sannazaro, dove l’Associazione porta avanti un progetto di riqualificazione dell’area nel nome del “Nolano”.    

Guarda il video

“Il lupo perde il pelo, ma non il vizio”

“Premiate le due vincitrici del Certame Bruniano promosso dal comune di Nola.”

 

 

Certame Noalno per ricordare Giordano Bruno

Ogni manifestazione che promuova la memoria di Giordano Bruno è da apprezzare, specie quando si rivolge ai giovani. Ma non si può fare a meno di notare come la commissione esaminatrice presieduta dall’onnipresente Michele Ciliberto, docente della Scuola Normale Superiore di Pisa, abbia deciso di premiare una Nolana e… una Pisana. Per carità le vincitrici saranno sicuramente due valide studentesse, meritevoli di plauso, ma non cesseremo mai di stigmatizzare i criteri spartitori che continuano a dominare incontrastati nel mondo della cultura, dai premi letterari alla pubblicazione con case editrici di primo livello e via discorrendo. È un peccato che certi personaggi, che pure hanno fornito contributi decisivi agli studi bruniani, continuino, anche in tarda età, a rovinare la propria immagine con il comportamento tipico della parte peggiore dell’accademia, proprio quella che Bruno disprezzava con tutte le sue forze! Se ci fossero stati loro nel consiglio accademico di Wittenberg o di Helmstedt, di sicuro il povero Nolano non avrebbe avuto la possibilità di insegnare neanche lì, scalzato da qualche loro pupillo!

Guido del Giudice

“E ora il monumento a Giordano Bruno!”

Guido del Giudice commenta il grande successo della kermesse napoletana dedicata al filosofo.

 

Aiuola del libero pensiero dedicata a Giordano Bruno

Si è chiusa, riscuotendo un successo al di là di ogni aspettativa, l’edizione 2020 del “Maggio dei Monumenti” dedicata a Giordano Bruno. Tra i numerosi contributi, si sono distinti quelli della The Giordano Bruno Society, l’associazione no-profit fondata dal noto studioso napoletano Guido del Giudice.

Circa 50.000 visualizzazioni, oltre 2000 like e centinaia di condivisioni: questo il bilancio degli interventi in video, realizzati direttamente o in collaborazione. È lo stesso Presidente del Giudice ad esprimere la sua soddisfazione: “Sono fiero del contributo dato a questo importante avvenimento. 

Mi ha colpito, in particolare, l’interesse suscitato dalla presentazione, nella giornata conclusiva, dell’ “Aiuola del libero pensiero”, lo spazio verde dedicato al Nolano in una storica piazza napoletana.

Mi auguro che sull’onda dell’entusiasmo si riesca, finalmente, con l’aiuto dell’Amministrazione Comunale, a realizzare un sogno. Innalzare nell’aiuola un busto del filosofo che si definì “Napolitano nato et allevato sotto più benigno cielo”Guarda il video