“Ma quale plagio, è tutto regolare”

“La secca replica da Segrate. Dietro la vicenda spunta un miliardo per le celebrazioni del pensatore”

“A noi sarebbe piaciuto affiancare a quello di Michele Ciliberto il nome di Giovanni Aquilecchia: sono i due massimi studiosi di Giordano Bruno e la nostra edizione ne avrebbe guadagnato.

Purtoppo non è stato possibile proprio per l’indisponibilità di Aquilecchia”.

Alle accuse da Parigi replica Renata Colorni, responsabile dei Meridiani Mondadori. Ha seguito personalmente la cura dei Dialoghi filosofici italiani di Giordano Bruno. Ne conosce la storia e le traversie che non sembra si limitino a una diatriba tra filologi, ma sollevano il velo su beghe baronali molto frequenti nella nostra accademia.

Gelosie e rivalità che diventano sempre più cruente quando coincidono con celebrazioni e anniversari.
A Segrate non sentono di doversi rimproverare nulla. La disciplina del diritto d’autore esclude che si possa tutelare il testo di un autore del passato criticamente ricostruito da un filologo. Non si può parlare, dicono alla Mondadori, di pirateria né penale né morale né, tantomeno, culturale. Molte volte un’edizione critica, fondata sul confronto fra varie versioni della stessa opera, a stampa o manoscritte, viene poi riprodotta in successive edizioni.

“Noi abbiamo chiesto ad Aquilecchia di poter indicare sulla copertina che il testo era quello da lui stabilito”, racconta Colorni. “Aquilecchia ci ha risposto che avrebbe voluto rivedere il volume prima della stampa. Ma per noi i tempi si sarebbero allungati troppo”.

Da Parigi vi accusano di aver contattato Aquilecchia solo a dicembre, due mesi prima dell’uscita in libreria… “È vero. Si è accumulato del ritardo. Noi ci eravamo rivolti in giugno alla Utet, che è l’editore originario dei Dialoghi, successivamente ceduti alle Belles Lettres…” E poi cosa è successo? “Abbiamo deciso di pubblicare Bruno. Avevamo il diritto di farlo”.

E Aquilecchia? “Ha reagito con una telefonata furibonda, seguita da un fax di Segonds, il direttore delle Belles Lettres, pieno di improperi”.
Al riparo dal diluvio si mette anche Ciliberto, curatore del Meridiano: “Nella nota al testo”, dice da Firenze, “ho scritto con chiarezza che l’edizione adottata era quella stabilita da Aquilecchia per le Belles Lettres: non capisco questa polemica pretestuosa”.

Lei viene accusato anche di non aver apportato alcuna correzione, a differenza di quanto scrive nella nota. “È falso”, replica Ciliberto, “per Gli eroici furori, uno dei Dialoghi, siamo intervenuti in maniera consistente”.
Fin qui Ciliberto. Che Bruno sia al centro di un contenzioso più profondo della semplice vicenda editoriale non sono in pochi a pensarlo. In occasione del quarto centenario della morte del filosofo nolano è stato istituito un comitato per le celebrazioni con la dotazione di un miliardo.

Niente di esorbitante, ma quanto basta per stuzzicare appetiti. Il comitato è presieduto da Ciliberto e in esso siedono molte personalità (Eugenio Garin, Tullio Gregory, Adriano Prosperi, Cesare Vasoli, Paolo Rossi, Nicola Badaloni, Gerardo Marotta e altri ancora). Ma qualcuno è rimasto escluso.

Nuccio Ordine, ad esempio, uno dei responsabili delle edizioni di Bruno presso Belles Lettres. Aquilecchia originariamente faceva parte del comitato, poi ne è uscito.
Ciliberto ha parole di grande stima per Aquilecchia, al quale ha dedicato un saggio e che considera un maestro. “Ma non riesco a capire perché questi attacchi. In fondo noi avevamo un obbligo: mettere a disposizione il miglior testo possibile di Giordano Bruno.

E il testo migliore era quello di Aquilecchia. Perché un editore italiano non avrebbe dovuto impegnarcisi? Ben vengano le edizioni in Francia. Ma ho l’impressione che a Parigi siano colti da un eccesso di nazionalismo culturale, quasi si ritenessero depositari del compito di diffondere il filosofo nolano. Il nostro comitato ha promosso l’edizione integrale presso Adelphi delle opere magiche di Bruno e ha organizzato per giugno una mostra alla biblioteca Casanatense di Roma.

Queste polemiche le posso capire solo se tengo presente che il Meridiano ha già tirato due edizioni e venduto cinquemila copie, tagliando le gambe alle Belles Lettres. Un successo imprevedibile: in una classifica di best seller ha addirittura scavalcato Montanelli e Biagi”.

Francesco Erbani

Giordano Bruno, dopo il rogo ecco la guerra

“La casa editrice francese Belles Lettres accusa la Mondadori di “pirateria legale” praticata su un libro del filosofo”

Mentre in tutto il mondo sono in corso le celebrazioni per il quarto centenario della morte di Giordano Bruno, dalla Francia parte una polemica che coinvolge il destino editoriale del filosofo mandato al rogo dall’Inquisizione.

La prestigiosa casa editrice Belles Lettres accusa infatti la Mondadori di essersi resa responsabile di una sorta di “pirateria legale”, a proposito della recente edizione dei Dialoghi filosofici italiani, pubblicati a febbraio nella collana dei Meridiani.

Secondo l’editore francese, infatti, il curatore dell’opera, Michele Ciliberto, non avrebbe fatto altro che utilizzare senza autorizzazione il testo critico messo a punto da Giovanni Aquilecchia per l’edizione bilingue, italiana e francese, delle Opere Complete di Bruno, che Belles Lettres sta realizzando da diversi anni.

In un comunicato della casa editrice firmato da diversi studiosi — tra cui anche Giorgio Bárberi Squarotti, Nicholas Mann, direttore del Warburg Institute di Londra, Yves Hersant e Nuccio Ordine, i due responsabili dei volumi bruniani di Belles Lettres — il curatore del volume mondadoriano viene accusato di aver compiuto un atto di pirateria sul testo critico di Aquilecchia, apportandovi solamente “qualche minimo ritocco” e presentando l’edizione di Belles Lettres come “una semplice traduzione francese” e non come l’unica edizione critica esistente.

Il comunicato denuncia “tale manovra, legale forse, ma immorale, il cui principale responsabile è purtroppo un collega”, augurandosi che simili atteggiamenti “non si generalizzino”.

Per Alain Segonds — direttore generale di Belles Lettres, nonché illustre studioso dell’Umanesimo e del Rinascimento — quello della Mondadori “è un atteggiamento scandaloso e sconveniente, anche se giuridicamente inattaccabile, perché non esiste il copyright sull’edizione critica di un testo del XVI secolo, solo le note e gli apparati critici sono protetti”.

Lo studioso che, insieme a Ordine e Hersant, ha avviato nel 1993 l’edizione delle opere bruniane, di cui finora sono usciti sette volumi comprendenti tutti i testi italiani, racconta così l’incresciosa situazione:

“Alla fine di dicembre Aquilecchia ha ricevuto una lettera da Segrate che gli annunciava a cose fatte l’imminente Meridiano dedicato a Bruno. Gli veniva proposto di firmare la paternità del testo ma senza alcun compenso né la possibilità di rivederlo. Aquilecchia evidentemente ha risposto negativamente, dicendo che non aveva l’abitudine di firmare un’edizione che non aveva fatto.

Noi come casa editrice abbiamo diffidato la Mondadori di utilizzare il testo critico di Aquilecchia da noi pubblicato. Un testo, frutto di una vita di studio e lavoro sui testi bruniani, che è significativamente diverso dalle edizioni finora in circolazione, e quindi perfettamente riconoscibile”.

Alla casa editrice francese, che vanta una lunga tradizione nel campo dei classici, hanno analizzato riga per riga il Meridiano consacrato a Bruno, giungendo alla conclusione che il testo utilizzato sarebbe proprio il loro: “Per evitare noie legali Ciliberto ha solo scritto di aver lavorato sulla base del testo di Aquilecchia, correggendolo e migliorandolo dove necessario.

Noi però non abbiamo trovato alcuna correzione”. Quella che potrebbe essere solo una querelle tra filologi, in realtà per Belles Lettres ha anche un peso editoriale non secondario: “Se Mondadori fosse riuscito a pubblicare il volume come a cura di Aquilecchia, la nostra edizione critica, che è più cara e in più volumi, sarebbe scomparsa dal mercato”. Tuttavia, se Segonds ha deciso di denunciare pubblicamente questo episodio, “non è per fare la guerra alla Mondadori”, ma per far conoscere agli studiosi i rischi che corrono: “Fare l’edizione critica di un testo è un lavoro lungo e faticoso, occorrono abnegazione e coraggio.

Non è concepibile che poi chiunque possa utilizzare impunemente i risultati del lavoro altrui”.

Fabio Gambaro

Il «Meridiano» Giordano Bruno: un’edizione «pirata» ?

Nello scorso febbraio, l’editore Arnoldo Mondadori di Milano ha riunito in un volume della sua prestigiosa collana «i Meridiani» i sei dialoghi italiani di Giordano Bruno: progetto lodevole, che avremmo voluto salutare con un applauso. Purtroppo, al posto di offrirci un’edizione del Nolano, il curatore del volume ha pensato bene di «assorbirne» un’altra.

Ecco i fatti.

Il 14 dicembre 1999, una direttrice editoriale trasmette per lettera al professor Aquilecchia, filologo ben conosciuto, una notizia che viene presentata come lusinghiera: è in corso di stampa un’edizione di Bruno che riprende il testo stabilito da Giovanni Aquilecchia per l’editore parigino Les Belles Lettres; se Aquilecchia vuole vedere il suo nome stampato nel frontespizio del volume deve inviare il suo consenso a stretto giro di posta! Messo davanti al fatto compiuto, e privato della possibilità reale di rivedere le bozze, il nostro collega rifiuta con indignazione l’offerta.

La sua edizione di Bruno viene nonostante tutto pubblicata, con minimi ritocchi, che il «curatore» Michele Ciliberto vuole far passare come correzioni e di cui non fornisce neanche la lista. Quanto all’edizione Les Belles Lettres, che è un’edizione critica bilingue, Ciliberto pretende di presentarla, nella «Bibliografia essenziale» del Meridiano, come una semplice traduzione francese.

Benché «brunisti», i firmatari di questa lettera non hanno il gusto della polemica.

Ma davanti a tanta ineleganza, per non dire altro, non possono fare a meno di intervenire:

  1. per assicurare Giovanni Aquilecchia, che ha consacrato cinquant’anni della sua vita agli studi bruniani, della loro piena solidarietà in un’affaire che colpisce direttamente la paternità del suo lavoro;

  2. a sottolineare che l’edizione Mondadori non ha preso il testo Les Belles Lettres come «testo di riferimento», ma come fonte diretta (così come dimostra lo stesso Aquilecchia in un saggio di imminente pubblicazione sul «Giornale storico della letteratura italiana»);

  3. come denuncia di un comportamento – legale forse, o non, ma certamente discutibile sul piano scientifico e deontologico – di cui il principale responsabile è purtroppo un collega e per augurarsi che operazioni del genere non si verifichino più.

Nicola Badaloni (Università di Pisa)

Giorgio Bárberi Squarotti (Università di Torino)

Amelia Buono Hodgart (Royal Holloway College, Università di Londra)

Jean-Pierre Cavaillé (Università di Tolosa)

Paul Colilli (Laurentiam University, Canada)

Tristan Dagron (CNRS, Parigi)

Miguel Angel Granada (Università di Barcellona)

Lea He Liang (Pechino-Chicago)

Yves Hersant (EHESS, Paris)

Luc Hersant (ENS, Parigi)

Alfonso Ingegno (Università di Firenze)

Hiroaki Ito (Università di Saitama, Giappone)

Kuzuyuki Ito (Università di Kyoto, Giappone)

Morimichi Kato (Tohoku University, Giappone)

Dilwyn Knox (University College, Londra)

Pierre Laurens (Università di Parigi-IV Sorbona)

Karen León-Jones (CNRS, Paris)

Michel Magnien (Università di Parigi-III Sorbona)

Nicholas Mann (Direttore del Warburg Institute, Londra)

Ramon Mendoza (Florida International University, USA)

Ken’ichi Nejime (Gakushuin University, Giappone)

Nuccio Ordine (Università della Calabria)

Pasquale Sabbatino (Università di Napoli)

Ernesto Schettino (National Autonomous University, Mexico)

Alain Segonds (CNRS, Paris)

Jean Seidengart (Università di Reims)

Étienne Wolfe (Università di Nantes)

Commenti al plagio

La polemica Aquilecchia-Ciliberto

 

Il plagio del “Meridiano” Mondadori

Amici Giordanisti, il Nolano sembra non dover aver mai pace ! L’ultima polemica, scoppiata intorno al “Meridiano” Mondadori, viene definita sul Corriere della Sera addirittura “conflitto internazionale” ! 
Da quando cinque anni fa decisi di riversare su questo sito la mia passione genuina per Giordano Bruno non ho mai pensato di farmi sponsorizzare da nessun partito politico e da nulla accademia e i sacrifici personali che ho fatto in questi anni per sostenere e sviluppare questa mia fatica ne sono valida testimonianza e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Per questa ragione riporto in questa pagina le opinioni e le ragioni di entrambe le parti e di chiunque voglia esprimersi sull’argomento. Traetene Voi le conclusioni.

Mi sembrano appropriate, a questo riguardo, le parole di Giovanni Bovio:

Bruno filosofo non appartiene soltanto ai filosofi e noi non tollereremo che la corporazione degli accademici lo sequestri per sè. Bruno fu il filosofo fastidito, l’accademico di nessuna accademia, il nemico dei pedanti, il libero ricercatore della verità: dunque che cosa ha di comune con le Università?

Dio ci guardi dalla dottrina ufficiale ! I sapienti che oggi esaltano il Nolano, ieri in compagnia del Bellarmino,
ne avrebbero sentenziata l’insanità, perchè é ufficio dell’ Accademia non promuovere la Scienza, ma irrigidirla e canonizzarla.

Perciò i discendenti dei dottori che derisero il Nolano e con lo Scioppio gioirono del supplizio, oggi non sapendo come fargli offesa lo vorrebbero incarcerare nelle loro cattedre ed ipotecarlo per le loro dispense di esame.

C‘è un Bruno però che non appartiene ai filosofi di professione, agli accademici salariati, ma è di tutti gli uomini colti o che cercano appassionatamente la verità, e Bruno a sua volta la cercò con passione, con frenesia, con ispasimo, senza riguardi umani, fra lo sprezzo dei dotti e disprezzandoli“.

Vai agli articoli sulla polemica Aquilecchia-Ciliberto

Commenti

Altri commenti a Francesco Agnoli

Giordano Bruno, una revisione contestata” di Domenico Contestabile “Il Foglio”, venerdì 02 settembre 2005

Al direttore – Intervengo, da non specialista, sugli articoli su Giordano Bruno di Francesco Agnoli. La storia è continua revisione, e non mi scandalizzo per il revisionismo Bruniano di Agnoli: mi sembra però che questi non colga nel segno. La vita di Giordano Bruno, dalla fuga da S. Domenico Maggiore a Napoli fino al rogo di Campo dei Fiori a Roma, è di singolare coerenza: fu una vita “contro”. L’accusa implicita di “opportunismo” mi sembra perciò singolare. E’ vero che, durante il processo, Bruno ritrattò molte sue tesi, e avrebbe avuto salva la vita se avesse continuato in questo atteggiamento. Alla fine però si stancò, e scelse lucidamente di morire.

E’ opportunista chi cerca solo di salvare la pelle, e poi decide di morire perché ritiene che i suoi giudici abbiano esagerato? In quanto alla tesi del Bossy sul Bruno spia elisabettiana, essa non è, a mio giudizio, provata, anzi è smentita dalla comparazione tra la grafia di Bruno e quella dei biglietti di spionaggio. Infine, la tesi della Yates nel suo grande libro, a proposito della relazione tra Campanella e Bruno, non mi ha mai convinto. Campanella (la sua rivolta antispagnola fu finanziata dalla famiglia Contestabile, come ricorda Firpo nel suo ottimo saggio sul processo a Campanella) voleva poi un regime “comunista”? A leggere “La città del sole” non si direbbe. Con affetto e stima Domenico Contestabile, presidente della commissione Difesa del Senato

COMUNICATO STAMPA  “Giordano Bruno”  Associazione Nazionale del Libero Pensiero, lunedì 05 settembre 2005 

Poiché ogni tanto ricompaiono personaggi che si dilettano di parlare e scrivere su Giordano Bruno, forse, con poca cognizione di causa dimostrando di conoscere poco, e i suoi scritti, e la sua biografia, ci permettiamo di dare un nostro piccolo contributo per rendere onore al filosofo di Nola. Questi “personaggi” sono proprio quei pedanti contro cui Bruno inveiva perché si rifiutavano (solo al tempo di Bruno?) di comprendere il ruolo della ricerca e della conoscenza, che il filosofo voleva svincolate dalle verità totalitarie e assolute, come appunto quelle predicate dall’ideologia cristiana tutta.

Secondo Bruno, infatti, non ci può essere conoscenza, ricerca se non si rimuovono gli “idola” che tengono l’individuo nello stato asinino della sottomissione, come quella voluta dal cristianesimo. Dove l’individuo, dannato fin dalla nascita avrebbe bisogno della “grazia” per essere salvato e riscattato. Una sottomissione che impedisce di pensare a tutto campo.

Una sottomissione che impedisce di indagare e comprendere tutto quanto ci circonda: il Cosmo, la Natura.

Una sottomissione che impedisce,  di agire responsabilmente per progettare se stessi in armonia con il cosmo – materia.

Una filosofia rivoluzionaria, dunque, quella di Giordano Bruno. Certamente non comoda.

Per ragioni di spazio, qui mi limito a contestare due superficiali affermazione che in questo scorcio di fine estate sono circolate, assimilando Bruno ad una sorta di negromante ed accusandolo di scarsa scientificità. Ebbene, Bruno non è un volgare millantatore, e quando parla di magia la intende nel senso che la migliore cultura rinascimentale le attribuiva: penetrare la Natura, finalmente non più imperscrutabile disegno divino.

Bruno sarebbe poco scientifico? La scienza come la intendiamo oggi noi, era agli albori. Ma come si può negare l’apporto che Bruno diede, ad esempio, alla teoria della relatività leggendo questo passo della Cena delle Ceneri: “Or, per tornare al proposito, se dunque saranno dui, de’ quali l’uno si trova dentro la nave che corre, e l’altro fuori di quella, de’ quali tanto l’uno quanto l’altro abbia la mano circa il medesimo punto de l’aria, e da quel medesmo loco nel medesmo tempo ancora l’uno lascie scorrere una pietra e l’altro un’altra, senza che gli donino spinta alcuna, quella del primo, senza perdere punto nè deviar da la sua linea, verrà al prefisso loco, e quella del secondo si trovarrà tralasciata a dietro.

Il che non procede da altro, eccetto che la pietra, che esce dalla mano de l’uno che è sustentato da la nave, e per consequenza si muove secondo il moto di quella, ha tal virtù impressa, quale non ha l’altra, che procede da la mano di quello che n’è fuora; benchè la pietre abbino medesma gravità, medesma aria tramezzante, si partano (e possibil fia) dal medesmo punto, e patiscano la medesma spinta. Della qual diversità non possiamo apportar altra raggione, eccetto che le cose, che hanno fissione o simili appartinenze nella nave, si muoveno con quella; e la una pietra porta seco la virtù del motore il quale si muove con la nave, l’altra di quello che non ha detta participazione.

Da questo manifestamente si vede, che non dal termine del moto onde si parte, nè dal termine dove va, nè dal mezzo per cui si move, prende la virtù d’andar rettamente; ma da l’efficacia de la virtù primieramente impressa, dalla quale depende la differenza tutta”? Come i più noti studiosi di Bruno sanno, Galileo Galilei prese interi passi dai suoi scritti, senza per altro neppure citarlo.

L’opera di Bruno non è certamente facile. E’ ricca di simbolismo e quindi non si può pescare tra i suoi scritti (magari neppure letti direttamente), per farne un uso strumentale.

Ma, simili interventi, forse, evidenziano solo il livore verso il nostro filosofo, che ha avuto l’ardire di aver denunciato la sottomissione al dio padrone padreterno, interpretato per altro da strutture di potere che si arrogano la pretesa di essere depositarie Uniche Universali di Verità.

Per questo la Chiesa di Roma l’ha mandato al rogo il 17 febbraio del 1600 (anno del giubileo). Essa non voleva, come sosteneva Giordano Bruno, che aveva colto del copernicanesimo l’aspetto più rivoluzionario, che “con la terra si muovessero tutte le cose che in terra stanno”.

Maria Mantello (presidente della sezione di Roma e Vicepresidente nazionale dell’Associazione)

“Giordano Bruno, ripensamenti ecclesiastici” – “Il Foglio” martedì 06 settembre 2005

Sulle pagine del Foglio e del Corriere della Sera si è tornato a discutere sulla controversa figura di Giordano Bruno, il frate domenicano bruciato al rogo per eresia il 17 febbraio 1600. Negli ultimi anni di Bruno si è riflettuto, e molto, anche nella Chiesa cattolica. Con ipotesi di mea culpa, espressioni di rammarico e immaginifiche riabilitazioni.

Di ipotesi di “mea culpa” formale del Vicariato di Roma e della Chiesa tutta ne parlò il cardinale Camillo Ruini nel 1996 a margine di una assemblea generale della Cei, ma poi non se ne fece più nulla. Tuttavia con un articolo della Civiltà cattolica del gennaio 2000 e soprattutto con una lettera del cardinale segretario di Stato Angelo Sodano del febbraio successivo i vertici della Santa Sede hanno espresso chiaramente e nettamente il “profondo rammarico” per la “morte atroce” inflitta a Bruno, pur ricordando che “le scelte intellettuali” del domenicano “si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana”.

La citata lettera di Sodano venne scritta in occasione di un Convegno organizzato a Napoli per i 400 anni dell’uccisione di Bruno dalla locale Facoltà teologica dell’Italia meridionale, sezione San Tommaso d’Aquino. Significativo il titolo del Convegno “Giordano Bruno: oltre il mito e le opposte passioni”, i cui atti, lettera di Sodano compresa, sono stati stampati alla fine del 2002 dalla stessa Facoltà teologica (pp. 320, euro 26).

Ebbene all’interno di quel Convegno non è mancato chi, autorevolmente, è andato oltre il “profondo rammarico”, evocando addirittura una possibile riabilitazione dell’eretico campano. Stiamo parlando del contributo firmato da monsignor Domenico Sorrentino, uno dei quattro curatori dell’opera e all’epoca docente alla Facoltà, dal titolo “Senso del divino e mistero di Dio in Giordano Bruno”.

Si tratta, come viene scritto da Pasquale Giustiniani nell’introduzione del volume di “un’analisi rispettosa e pacata, in più punti esplicitamente empatica con il Nolano” (pag. 23). Un’analisi che si conclude con una “immaginazione” assolutoria del domenicano finito al rogo nel 1600: “Noi sappiamo – scrive Sorrentino – che il Cristo, inscindibile dalla sua chiesa (in minuscolo nel libro, ndr), è però più grande di essa e opera ben al di là dei suoi confini visibili.

Amiamo, perciò, immaginare che Bruno, attraverso e oltre il rogo, affrontato con coerenza purificatrice dell’adesione alla propria coscienza, lo abbia incontrato, trovando proprio in quel Volto da lui incompreso la concentrazione di quell’infinito che fu la sua passione ardente” (pagg. 150-151). Nello steso Convegno non mancarono coloro che ribadivano l’eterodossia del pensiero bruniano. Ed è questa ancora la posizione maggioritaria e ufficiale della Chiesa cattolica.

Ma questo non vuol dire le affermazioni “empatiche” di Sorrentino gli abbiano procurato censure ecclesiastiche. Tutt’altro. Già nel febbraio 2001 l’ecclesiastico è stato nominato vescovo-prelato di Pompei. Non solo. Nell’agosto 2003 Sorrentino è stato chiamato a prestare servizio nella Curia romana, con il prestigioso incarico di segretario della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti.

“Giordano Bruno il platonismo ed il pensiero scientifico” – di Giorgio Israel – “Il Foglio”, mercoledì 07 settembre 2005

Al direttore – Le confesso che sto seguendo con crescente malessere il dibattito su Giordano Bruno. La questione ha a che fare con la storia della scienza, ma la storia della scienza non può essere considerata uno sgabello da usare secondo le convenienze, sfornando qualche citazione tratta dall’introduzione di qualche libro e mal compresa.

Per coerenza con quanto ho scritto e lei ha avuto la cortesia di pubblicare il 6 settembre (“Povera scienza, in che mani”), mi sento di protestare che la cultura scientifica ha una sua dignità e non è una semplice arma da usare strumentalmente nei dibattiti “seri” tra i “veri” uomini di cultura (quelli delle scienze umane). Così continuiamo a consegnare la scienza a tecnoscientisti e tecnologi e a sbatterla fuori dalla cultura.

Trovo quindi sorprendente che Francesco Agnoli, per difendere le sue tesi debba ricorrere a un’immagine “scientista” della scienza, per screditare Bruno come “non scientifico”, “non moderno” e “mezzo mago”. E quale contraddizione vi sarebbe tra l’essersi vissuto Bruno come un mago (come ha argomentato Yates con la sua autorità) e il suo contributo al pensiero scientifico moderno? Mettiamola giù con brutale schematicità. Il fondamento della rivoluzione scientifica risiede principalmente nel progressivo rigetto dell’aristotelismo e nella riscoperta del platonismo e del neoplatonismo. In questo il pensiero umanistico e rinascimentale ha avuto un ruolo fondamentale: con tutto il carico connesso di misticismo, di recupero dello gnosticismo, dell’ermetismo, dell’alchimia, delle speculazioni kabbalistiche, e anche della magia.

Nel suo recupero della “prisca theologia”, il Rinascimento fa di Platone l’erede di Mosé, di Socrate l’anticipazione di Cristo, e mira a fare di Atene un suburbio di Gerusalemme. E così facendo recupera le parti più dimenticate (e per tanti aspetti più vitali) della filosofia e della scienza greche. Nessuno studioso serio può sottovalutare l’enorme apporto del misticismo neoplatonico alla fondazione della scienza moderna. E naturalmente Bruno è parte di questo processo. Poi, certamente, il bimbo ha picchiato la propria nutrice (per dirla alla Voltaire). Descartes, nel fondare la metafisica della scienza moderna, ripudiò il vecchio mondo rinascimentale, ruppe le concatenazioni astrali, sostituì la numerologia (come linguaggio divino) con la matematica (il vero linguaggio divino), e fondò la scienza sull’oggettivismo.

Il che non toglie che egli sia figlio di quel processo e che il platonismo sia ormai un asse portante della scienza. Di più: il cartesianesimo esprime una formulazione radicale, ma né Galileo, e ancor meno Copernico e Keplero si affrancarono mai dai legami con le visioni mistiche del neoplatonismo rinascimentale. Per non parlare di Newton il quale, come rilevò Keynes (scopritore e lettore dei suoi manoscritti scomparsi), fu l’ultimo dei “maghi medioevali” piuttosto che il primo dei razionalisti moderni: cultore di teologia e di alchimia, Newton considerava un’autentica assurdità l’idea che l’attrazione gravitazionale fosse di natura meccanica e riteneva che l’unica spiegazione della stabilità del sistema planetario fosse l’attività del Divino Operaio che ne correggeva continuamente le perturbazioni.

Prescindendo dalle concezioni filosofico- teologiche (ispirate al pensiero mistico e kabbalistico) di Newton è impossibile capire il suo concetto di spazio assoluto (sensorium Dei), che è alla base della fisica-matematica moderna. E’ quindi assai fuor di proposito dire che Buridano fu precursore della scienza moderna in quanto si ribellò alla concezione neoplatonica delle forze intese come enti divini: in tal senso, Buridano fu “retrogrado” (altri e più specifici furono i suoi contributi fondamentali alla nuova meccanica); ed è invece partendo da quella concezione delle forze che è nata la scienza moderna, come è testimoniato ancora una volta dal pensiero di Newton (per non entrare in più dettagli ed esempi, come sarebbe serio fare).

Ché poi il cartesianesimo abbia reciso i legami è un’altra storia, che non altera il fatto che il platonismo matematizzante era ormai posto a fondamento supremo della scienza fisica. Non vale aprire un libro di Duhem e trarne una citazione, dimenticando la sua visione molto particolare (una miscela di tradizionalismo teologico e di positivismo). Anche nella storia della scienza esiste una critica storiografica e bisogna farci i conti.

Dispiace di dire che nel dibattito di questi giorni molti dei protagonisti sembrano agitare delle spade nel vuoto. Il problema se Bruno sia da considerare un pensatore serio o un ciarlatano, un anticipatore della scienza moderna o di Cagliostro, secondoché fosse un mago oppure no, è mal posto e assolutamente fuorviante.

Bruno fu certamente influenzato dal pensiero magico-ermetico, e probabilmente si “sentì” un mago – come gran parte dei pensatori rinascimentali. Il che non toglie un’oncia al fatto – al contrario! – che egli abbia potentemente contribuito alla formazione del pensiero scientifico e filosofico moderno. Giorgio Israel

“Processo senza fine” – di Barbara Lattanzi, Anteprima dal Laboratorio di Nuovi studi Antropologici

Vi sembrerà strano, ma dopo oltre 400 anni il processo a Giordano Bruno, che si svolse nel corso degli ultimi anni del XVI secolo, non si è ancora concluso. Al giorno d’oggi si continua a raccogliere prove d’accusa contro il malcapitato filosofo nolano. In particolare, mi riferisco qui a una “serie a puntate” di articoli, dal 18 agosto al 1 settembre u.s., apparsi sul Foglio a firma di Francesco Agnoli.
Si tratta di una raccolta di calunnie e falsificazioni storiche deliranti riguardo alla biografia del filosofo, unite a evidenti distorsioni interpretative del suo pensiero.
Bisogna ricordare che episodi del genere sono già accaduti nel corso degli ultimi anni1 e che i contenuti di tali pseudo-contestazioni al filosofo di Nola sono sempre molto simili, quasi costruiti a tavolino e riproposti ogni qual volta se ne trovi l’occasione. Possono essere così riassunti:

  1. Giordano Bruno fu opportunista, incoerente e senza scrupoli
  2. La sua filosofia non ha nulla di nuovo
  3. Egli non era uno scienziato
  4. Non era neppure un filosofo, ma una specie di stregone
  5. Non era affatto coraggioso come la storiografia classica vorrebbe farci credere e avrebbe volentieri abiurato
  6. L’”arte della memoria” che egli sosteneva di praticare è in realtà una buffonata per attirare su di sé l’attenzione e il favore dei potenti
  7. Prese parte a intricate vicende di spionaggio internazionale in qualità di spia doppiogiochista

(Conclusioni: tutto sommato fece la fine che si meritava)

Tali affermazioni si commentano da sole e non meriterebbero nemmeno delle risposte. Ovviamente, non esistono prove né fonti attendibili a favore di tali ipotesi o che possano anche solo minimamente confermarle (ne esistono, al contrario, parecchie a sfavore2).
Tuttavia, una serie di repliche indignate apparse negli ultimi giorni su varie pubblicazioni ha acceso un dibattito a cui mi sento di prendere parte. Mi limiterò, comunque, a precisare brevemente alcuni punti.
Nel Rinascimento la magia era intesa (da filosofi e dotti) come conoscenza delle leggi intrinseche della natura e della psiche. Era dunque strettamente collegata con la filosofia e l’opera del mago seguiva e non violava i processi naturali. Spesso ciò che all’epoca era chiamato “magia” può oggi essere definito scienza naturale e psicologia, termini che allora non esistevano. Il trattato di Bruno De vinculis in genere, citato dell’Agnoli come fosse un compendio di magia nera, rappresenta in realtà una delle prime espressioni di quella che oggi è chiamata psicologia sociale3, scienza moderna, nata ufficialmente negli anni cinquanta dello scorso secolo ed ora insegnata in tutte le università italiane. E’ da notare come in varie opere il filosofo dimostra di possedere una profonda conoscenza dei processi psichici, al punto da poter essere considerato precursore di alcuni studiosi moderni (v., p.es. C.G. Jung).
A questo punto è doveroso un breve cenno all’arte della memoria, che Agnoli liquida come una cialtronata. I processi cognitivi sono, nella nostra epoca, oggetto di studi di carattere interdisciplinare e la loro importanza non è più messa in discussione (dagli studiosi seri, intendo). La capacità mnemonica del Nolano può essere dimostrata da un’attenta lettura dei suoi scritti, dove si possono individuare numerose citazioni a memoria, e dalle sue deposizioni nel corso della vicenda processuale che lo vide protagonista4.
Per rendersi conto della portata della filosofia di Giordano Bruno, “padre” del moderno universo, credo sia necessaria una lettura dei suoi scritti5. Se il pubblicista di cui sopra avesse letto anche solo un capitolo di questi, forse si sarebbe espresso diversamente. L’Agnoli, d’altronde, non menziona nemmeno un punto della filosofia del Nolano. L’unica considerazione di carattere filosofico che troviamo nei tre articoli è, infatti, un madornale errore interpretativo: mi riferisco al punto in cui è affermata la somiglianza dottrinale tra Tommaso Campanella e Giordano Bruno , due pensatori che, per quanto vicini nella vicenda umana giudiziaria, non si somigliano affatto dal punto di vista filosofico6.
Se siamo stupiti dell’arroganza di chi pretende di formulare sentenze su argomenti che non conosce o non è in grado di comprendere, lo siamo ancora di più di fronte alle fantasiose ricostruzioni biografiche, sciorinate senza nemmeno il tentativo di trovare prove a sostegno.
Facendo riferimento a uno scritto di John Bossy (Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata), Francesco Agnoli giunge ad affermare che il nostro filosofo avrebbe rotto il segreto confessionale al fine di utilizzare informazioni nel corso della propria attività di 007. E’ facile comprendere come quest’accusa sia campata in aria se pensiamo che neppure i solerti inquisitori veneziani e romani si sognarono minimamente di formulare un simile capo d’accusa nel corso del processo (cfr. Atti del processo). Durante il periodo a cui gli improvvisati biografi si riferiscono – si tratta degli anni del soggiorno in Inghilterra di Giordano Bruno – egli non operava più come sacerdote cattolico, come avrebbe potuto confessare?
Ma la fantasia del coraggioso pubblicista è ancora più scatenata. Bruno avrebbe millantato combattimenti contro demoni notturni, altri demoni sarebbero stati da lui evocati per perpetrare chissà quale stregonesca nefandezza. Roba da far invidia a Stephen King.
Non mi fa certo piacere notare come Agnoli, insegnante di storia, manchi totalmente di prospettiva storica. Ma ciò è evidente in ogni parte del “serial giornalistico” da lui intrapreso sul Foglio. Qui citerò solo un esempio. La conversione al calvinismo – che gli articoli menzionano al fine di dimostrare l’incoerenza e il meschino opportunismo del filosofo – non fu certo sua libera scelta, ma si rese necessaria, in un periodo di aspre lotte di potere e religione, per poter sopravvivere e avere il diritto di esprimersi in una città come Ginevra. L’epoca in cui viveva il filosofo nolano, il “secolo scellerato” segnato da Riforma e Controriforma, esigeva una grande capacità di adattamento. Molto lontani erano i nostri diritti costituzionali. Questo è evidente per chiunque abbia una seppur minima cognizione della storia.
Che dire della personalità del filosofo nolano? Molto è stato scritto. Da tempo questo personaggio continua ad affascinare lettori, filosofi e studiosi di tutti i paesi del mondo, i quali cercano di trarre preziosi insegnamenti dai suoi scritti e dalle sue vicende biografiche. In questa sede mi limito a rilevare la perfetta coerenza tra le posizioni filosofiche e la sua vita.
Giordano Bruno non volle abiurare, nonostante i ripetuti tentativi in tal senso da parte di Roberto Bellarmino, inquisitore presso il Santo Uffizio di Roma. Se fosse stato intenzionato a pronunciare un’abiura, non sarebbe di certo finito sul rogo.
Non c’è da stupirsi, dunque, che il nostro filosofo continui a raccogliere, oltre a ingiurie e condanne da parte di personaggi come Agnoli, numerosi contributi da parte di coloro che lo stimano, siano essi storici, filosofi, studiosi o semplici lettori.
Per finire desidero stimolare la riflessione di chi legge su un interrogativo: per quale motivo persone come Agnoli insistono nello sferzare attacchi, utilizzando qualsiasi mezzo e a costo di rendersi ridicoli? Forse la risposta a questo interrogativo getterà luce su ciò che gli estimatori di Bruno hanno sempre sostenuto: dopo oltre 400 anni il pensiero del filosofo nolano non è per nulla superato, ma vivo e profondo, tanto da fare ancora paura. Barbara Lattanzi

 Note:

1. Un esempio particolarmente ridicolo è “il papa che bruciò Giordano Bruno” di Rita Pomponio.
2. Per eventuali approfondimenti si consiglia di leggere le raccolte degli atti del processo e documenti biografici. Una delle migliori è, a mio parere, “il processo a Giordano Bruno” di Luigi Fripo (Salerno editrice, Salerno 1998).
3. La psicologia sociale si occupa dell’interazione sociale nei piccoli gruppi, l’influenza interpersonale su atteggiamenti e comportamenti umani, la leadership e la formazione dei ruoli, le relazioni interpersonali informali e non istituzionali, la formazione di legami. Chi fosse interessato potrà leggere un buon manuale come, ad es. Gergen e Gergen “Psicologia sociale”(il Mulino, Torino, 1986).
4. Per approfondire l’argomento e rendersi conto della flessibilità delle potenzialità cognitive umane si consiglia la lettura degli scritti di Aleksander Lurjia. Si possono inoltre consultare i miei articoli “La mente tra libertà e manipolazione” (apparso su “gli Argomenti umani”, giugno 2005) e “Strutture e manipolazioni della percezione” (www.amnesiavivace.itn. 14).
5. Molte opere di Bruno possono essere scaricate anche da internet ( vari siti, tra cui www.giordanobruno.info). Per chi volesse cimentarsi nell’impresa (non particolarmente faticosa, il filosofo si  spiega molto bene e il suo stile è coinvolgente) si consiglia di iniziare con “De la causa, principio e uno”.
6. Il Campanella, sulla scia di B. Telesio, adotta posizioni vicine allo stoicismo. Per meglio notare la differenza tra i due filosofi (entrambi interessantissimi) si consiglia la lettura di E. Cassirer, “Storia della filosofia moderna” I p. (Einaudi, Torino1971) con particolare riferimento alla gnoseologia e alla psicologia, e A. del Prete “Universo infinito e pluralità dei mondi” (Istituto per gli Studi Filosofici, Napoli 1998) per quanto riguarda l’astronomia.

Articoli di Francesco Agnoli

Giordano Bruno
Processato dai protestanti, prima che dai cattolici, il filosofo-mago fu campione di doppio gioco

Quando si parla di scienza e di Chiesa il tasso minimo di ideologia presente nell’aria esige che si faccia almeno un cenno a Giordano Bruno, e alla sua esecuzione in Campo de’ Fiori, a Roma. La fama del filosofo nolano, infatti, è dovuta senz’altro al fascino della sua morte, da ribelle impenitente, più che alla sua produzione culturale, così intrisa di magia, di astrologia, di vitalismo panteistico e, per questo, in nulla moderna, né scientifica (Frances A. Yates, “Giordano Bruno e la tradizione ermetica”, Laterza). Una fama, dunque, ottenuta dopo la morte, ma cercata con ossessione durante tutta la vita, con una presunzione astrale, “accentuata dalle pratiche magiche cui Bruno si dedica con crescente intensità e che sviluppano in lui un senso di onnipotenza materiale e intellettuale assoluta” (Matteo D’Amico, “Giordano Bruno”, Piemme). Tutta la sua esistenza, infatti, è in vista di una affermazione personale, per sé e per la sua visione del mondo, contro avversari di tutti i paesi e di tutte le confessioni, che divengono via via “porci”, “pedanti”, “barbari e ignobili”. Il giovane Bruno è già un personaggio non comune, che ama raccontare di essere stato aggredito, a sassate, dagli spiriti, e che ha il suo primo importante scontro teologico nel 1576 con un confratello domenicano, riguardo alla dottrina di Ario, e il secondo nella capitale del calvinismo, a Ginevra. Vi giunge nel 1579, in cerca di fortuna. Ma il suo comportamento è subito ambiguo e aggressivo a un tempo: da una parte abbraccia il calvinismo, per essere accettato nei circoli culturali e religiosi della città, e dall’altra attacca violentemente un professore del luogo, dando alle stampe un libello contro di lui, e, a quanto sostiene l’accusa, mentendo platealmente. Viene processato dai membri del Concistoro, non cattolico, ma calvinista, e costretto in ginocchio a lacerare il suo opuscolo, ammettendo la propria colpa. Lasciata Ginevra, che dunque non lo capisce, Bruno approda a Parigi nel 1581: la sua fama di esperto nell’ars memoriae gli vale la convocazione del re Enrico III, di cui diviene in breve intimo confidente. Dopo soli due anni Bruno finisce a Londra, presso l’ambasciatore francese Castelnau, in Salisbury Court, vicino al Tamigi. Qui, secondo le recenti indagini di John Bossy (“Giordano Bruno e il mistero dell’ambasciata”, Garzanti) svolge un lavoro di spionaggio contro l’ambasciatore francese di cui è ospite, a tutto svantaggio dei cattolici, arrivando addirittura a rivelare i segreti carpiti in confessione. Infatti, pur essendo già da tempo un feroce nemico del cattolicesimo e della Chiesa, considerati la causa della decadenza dell’Europa, Bruno si finge zelante sacerdote e celebra riti in cui non crede, nell’ambasciata francese, vantando d’altra parte la propria apostasia presso la corte di Elisabetta. Nel suo arrivismo giunge a svelare alla regina l’esistenza di un complotto catto-spagnolo, in realtà inesistente, contro di lei: scrive di esserne venuto a conoscenza in confessione. Nessuno gli crede. Alla ricerca di una cattedra A questo punto Bruno, sempre scalpitante, vuole una cattedra a Oxford. Come ottenerla? Si offre volontario, con una umile missiva, in cui si presenta così: “Professore di una sapienza più pura e innocua, noto nelle migliori accademie europee, filosofo di gran seguito, ricevuto onorevolmente dovunque, straniero in nessun luogo, se non tra barbari e gli ignobili… domatore dell’ignoranza presuntuosa e recalcitrante… ricercato dagli onesti e dagli studiosi, il cui genio è applaudito dai più nobili…”. Alla terza lezione verrà accusato di plagio e invitato a togliere il disturbo; le sue invettive feroci contro i londinesi, e contro il prossimo suo in genere, gli procurano, probabilmente, un breve arresto e determinano il ritorno precipitoso a Parigi. Ma qui, nel frattempo, il clima politico è cambiato, e i Guisa, la nobile famiglia a capo della Lega Cattolica, ha sempre maggior potere: Bruno non esita a mettersi al suo servizio, e a chiedere di essere riaccolto “nel grembo della Chiesa catholica”. In realtà, ancora una volta, fa il doppio gioco, tessendo rapporti con i protestanti, benché nello “Spaccio della bestia trionfante” del 1584 avesse deprecato violentemente, in mille maniere, la figura di Lutero. Nello stesso periodo viene accusato da Fabrizio Mordente, inventore del compasso differenziale, di volergli carpire l’invenzione: Bruno infatti ne è entusiasta, ma come già per Copernico, ritiene che ai disprezzati matematici sfugga il valore magico ed ermetico delle loro scoperte, che lui solo, invece, ha la capacità di comprendere! (1. continua) Francesco Agnoli.

Giordano Bruno / 2
Calvino, Lutero e la magia. Le armi del filosofo-mago nel suo scontro con la Chiesa

Scomunicato dalla Chiesa cattolica e dai calvinisti di Ginevra, cacciato da Oxford e da Londra, Giordano Bruno, nel 1586, dopo l’ennesima disputa finita in rissa, deve abbandonare anche Parigi, perché neppure il vecchio amico Enrico III è più intenzionato ad accoglierlo. La destinazione, questa volta, è la Germania, e in particolare la città protestante di Marburgo. Ancora una volta il filosofo di Nola ottiene, dietro pressanti richieste, una cattedra universitaria, ma, detto fatto, entra in conflitto col rettore, Petrus Nigidius, che lo aveva assunto e che ora lo licenzia. Con la grinta di sempre Bruno riparte, per approdare a Wittenberg, città simbolo del luteranesimo, dove, tanto per cambiare, ottiene il diritto di tenere corsi universitari. E’ qui che Bruno cambia ancora casacca: in occasione del discorso di addio, dopo soli due anni di permanenza, polemiche, e tanti nemici, l’8 marzo 1588 tiene davanti ai professori e agli alunni dell’università un elogio smaccato della figura di Lutero, contrapposta a quella del papa, presentato, secondo le migliori tradizioni del luogo, come un vero anticristo. “Come ha usato Calvino contro la Chiesa, così adesso usa Lutero: il cattolicesimo emerge come il vero grande nemico” (Matteo D’Amico, “Giordano Bruno”, Piemme). Chiaramente il gioco può riuscire sperando che a Wittenberg non si conosca il libello bruniano di soli quattro anni prima, e cioè lo “Spaccio”. In esso infatti Bruno auspicava che Lutero e i suoi seguaci fossero “sterminati ed eliminati dalla faccia della terra come locuste, zizzanie, serpenti velenosi”, essendo causa di guerre, disordini e discordie senza fine. Inoltre, tanto per toccare con mano la “scientificità” del personaggio, Bruno spiegava la metempsicosi, affermando che coloro i quali abbiano “viso, volto, voci, gesti, affetti ed inclinazioni, altri cavallini, altri porcini, asinini, aquilini (…), sono stati o sono per essere porci, cavalli, asini, aquile, o altro che mostrano”! Lasciata Wittenberg, Giordano Bruno approda a Praga, la città dell’imperatore Rodolfo II, che ne sta facendo una centrale di maghi, alchimisti e occultisti da tutta Europa. Rodolfo è un tipo bizzarro, preda, spesso di allucinazioni e di crisi depressive. Ancora una volta Bruno cerca il potere, aspira a coniugare le arti magiche, di cui si ritiene in possesso, con alleanze potenti e concrete. C’è ormai in lui il desiderio di non rimanere un teorico, ma di passare all’azione, di essere ispiratore di un rinnovamento del mondo, di una palingenesi, che i segni dei tempi gli dicono vicina, e che lui vuole guidare, con compiti e ruoli non secondari. Ma, vuoi per il suo caratteraccio, vuoi perché le vantate arti magiche in suo possesso non danno i frutti sperati e promessi, anche Praga viene presto abbandonata per la città protestante di Helmstadt, nel 1589. Brigando a suo modo, Bruno ottiene di poter insegnare nell’università locale, e per l’ennesima volta, pur fingendosi protestante e scagliandosi contro la Chiesa cattolica, suo bersaglio preferito, viene in breve scomunicato dal pastore della locale chiesa luterana! Ciò nonostante neppure in questa occasione gli viene a mancare quella disponibilità di denari “che gli permette di fare lunghi viaggi, di affittare appartamenti, di tenere a suo servizio, regolarmente, segretari diversi, di pubblicare opere voluminose, di vivere infine per lunghi periodi senza alcun lavoro fisso”: denari, ipotizza il D’Amico, che potrebbero giungere da quell’attività così redditizia di informatore segreto che aveva appreso a Londra. Le formule per assoggettare Gregorio XIV Nel 1590 Bruno è a Francoforte, senza grande entusiasmo dei suoi allievi, che non riescono a comprendere quanto la miracolosa mnemotecnica bruniana sia da lui mal insegnata e quanto essa sia invece mal conosciuta. Dopo Francoforte, Zurigo, Padova e, infine, nel 1591, Venezia.Nella città veneta è accolto con curiosità da una cerchia di nobili da salotto,e in particolare da Giovanni Mocenigo, che è disposto a ospitarlo e nutrirlo in cambio dei suoi “segreti”. Ma Giordano Bruno non è certo incline a fare il precettore privato: il suo desiderio sembra essere quello di usare le sue conoscenze magiche, espresse nei testi “De magia” e “De Vinculis”, per assoggettare nientemeno che il pontefice Gregorio XIV ai suoi disegni di riforma religiosa e politica universale! Ritiene infatti di saper controllare e dominare le forze demoniche presenti nella natura e di poter soggiogare il prossimo con messaggi subliminali, formule magiche non percepibili dagli incantati: “Ritmi e canti che racchiudono efficacia grandissima, vincoli magici che si realizzano con un sussurro segreto…” (“De Vinculis”). (2. fine) Francesco Agnoli

Giordano Bruno / 3
L’epilogo del processo, la dignità della morte dopo una vita di intrighi e magie

Giordano Bruno concepisce a Venezia il folle disegno di “portare cambiamenti (politici) significativi, quantomeno nello scacchiere italiano”. A tal fine progetta di rientrare nella Chiesa, di recarsi a Roma dal pontefice Clemente VIII, per dedicargli un’opera, e, come si diceva, probabilmente, per riuscire a condizionarlo tramite le arti magiche. Non c’è grande nobiltà nei mezzucci con cui, contraddicendo patentemente il suo credo, persegue i propri fini. Ma nello stesso 1591 viene denunciato al Santo Uffizio dal suo stesso ospite: al Mocenigo è bastato un attimo per rimanere deluso dagli insegnamenti di Bruno, e scandalizzato dalle sue bestemmie. Dopo i sogni di potenza, il filosofo nolano precipita sul banco degli imputati, ma è già abituato ai processi, alle abiure, alle fughe, e forse pensa, in cuor suo, di farla nuovamente franca. La sua tattica difensiva consiste nell’ammettere alcune accuse, nell’attenuarne altre, e nel negare, infine, le più infamanti. Negare tutto sarebbe troppo sciocco, vista la possibilità per il tribunale di venire in possesso dei suoi scritti, e di indagare sul suo passato. Lo scopo è quello di “apparire persona rispettosa della autorità della Chiesa e della sua dottrina, anche se momentaneamente posto al di fuori di essa” (D’Amico). Arriva così a rinnegare alcune sue opere, e a presentare i suoi passati riavvicinamenti alla Chiesa, compiuti sempre e solo per convenienza politica, come testimonianza della sua sostanziale “ortodossia”. Il filosofo degli “eroici furori”, in realtà, non ha nulla di eroico: “tutti li errori che io ho commesso… et tutte le heresie… hora io le detesto et abhorrisco…”. Come già coi calvinisti di Ginevra, il ribelle, la spia, l’arrivista in cerca di poltrone universitarie, dopo aver attaccato e inveito, si inginocchia e abiura, con pari teatralità e finta compunzione. Ma Roma sospetta, e nel febbraio 1593 avoca a sé il processo, che durerà otto lunghi anni. Il tribunale inquisitoriale non emette condanne frettolose, ma procede con precisione e scrupolo, convocando testimoni, compulsando le opere, rispettando tutte le procedure, invitando ripetutamente ad abiurare. Bruno si dichiara disposto in più occasioni a cedere: la condanna, e l’affido al braccio secolare, arrivano dopo varie promesse di abiura, e altrettanti ripensamenti.


Il memoriale mandato in extremis al Papa

Nel giorno della condanna giunge al Papa un memoriale di Bruno: perché, se aveva già deciso di affrontare la morte? Probabilmente il memoriale, che non conosciamo, conteneva l’ennesima disponibilità all’abiura: forse Bruno credeva di poter ancora dire e disdire, senza conseguenze. A cosa si deve, allora, questa improvvisa accelerazione del processo? Secondo la Yates, a un evento contemporaneo: l’arresto di un altro domenicano ribelle, Tommaso Campanella. Non bisogna infatti dimenticare l’epoca in cui ci troviamo: la Riforma ha portato alla ribalta prima Lutero, con le conseguenti guerre dei cavalieri e dei contadini, e le relative mattanze, e poi millenaristi come Matthison di Haarlem, un capo anabattista che si sentiva “incaricato della esecuzione del castigo divino contro gli empi, e mirava semplicemente al massacro universale”, o il “profeta Hofmann” di Strasburgo, “il quale andava dicendo di voler fondare la Nuova Gerusalemme” e si accingeva a preparare la mobilitazione “dei cavalieri della strage che con Elia e Enoch appariranno impugnando la spada e vomitando fiamme per sterminare i nemici del Signore”. Campanella è filosoficamente molto vicino a Bruno. Anch’egli ritiene che stia giungendo l’ora dei “grandi mutamenti, l’avvento dell’età dell’oro”. Organizza così una congiura, in meridione, cercando l’alleanza dei Turchi, e in particolare di feroci pirati come Bassàn Cicala, per realizzare uno Stato magico, dittatoriale, di impostazione comunista. La congiura viene sventata nel 1599 (Francesco Forlenza, “La congiura antispagnola di Tommaso Campanella”, Temi). Tale nuova minaccia, religiosa e politica insieme, accelera forse la condanna di Bruno, che morirà, alla fine, con dignità. Ma dopo essere stato scacciato da almeno dieci città diverse, condannato da cattolici, calvinisti, protestanti e professori universitari; dopo essere stato spia, aver violato il segreto confessionale, aver ripudiato se stesso, per convenienza, innumerevoli volte, e, infine, dopo aver cercato, attraverso la magia e l’intrigo, di rovesciare l’ordine politico, non solo quello religioso, del suo tempo. Spacciarlo per un puro, un eroe coerente sino alla fine, uno scienziato moderno (titolo che lui stesso non avrebbe affatto desiderato), come cercano di fare Nuccio Ordine e Giulio Giorello sul Corriere della Sera di martedì scorso, è mera e ideologica falsificazione storica (condita con abbondanti dosi di retorica). (3. fine) Francesco Agnoli

Agnoli risponde alle critiche e insiste: Bruno era un mezzo mago

I miei tre brevi articoli su Giordano Bruno hanno scatenato le ire di Giulio Giorello e di Nuccio Ordine, sul Corriere della Sera del 30 agosto e del 1° settembre. Il Giorello, per la verità, si è limitato alle invettive contro i cattolici in genere, di ogni secolo e luogo, per poi riferirsi alle mie osservazioni, definendole assai astrattamente “pettegolezzi da filosofia vista dal buco della serratura”. Poiché l’argomento mi sembra immaginifico, ma deboluccio e sbrigativo, mi permetto di saltarlo a piè pari, per considerare invece le argomentazioni del professor Nuccio Ordine. Costui, forse ritenendo di essere l’unico in Italia ad aver proseguito gli studi oltre le elementari, si è anzitutto offeso del fatto che qualcuno abbia parlato di Giordano Bruno, senza il suo permesso: per lui è automatico che io non abbia letto le opere del filosofo, ma solo “due o tre cattivi libri”, forse degni di censura ecclesiastica nucciana (per quanto scritti da insigni studiosi, di cui, almeno la Yates, assai celebre a livello internazionale). Non interessa nulla che io abbia citato negli articoli in questione, seppur brevemente per mancanza di spazio, opere scottanti e inequivocabili di Bruno come il “De Magia”, il “De Vinculis” e “Lo Spaccio”. Ma la cosa più interessante è che il professor Ordine non contesta seriamente una sola delle mie affermazioni storiche. Rimane vero dunque che Bruno fu accusato di plagio a Oxford, scomunicato dai calvinisti e più volte dai protestanti; che abiurò in parecchie occasioni, rinnegando alcune sue opre, che si considerava il più grande sapiente esistente al mondo, che dovette scappare di città in città, non per sua scelta, ma perché sempre e dovunque indesiderato e mal sopportato (da Ginevra, da Parigi, da Oxford, Marburgo, Wittemberg, Helmstadt, Francoforte…). Sembra appurato, inoltre, che indossò e dismise l’abito domenicano più volte, allontanandosi dalla Chiesa, per poi riavvicinarsi, in qualche maniera, in più occasioni… Solo, secondo Ordine, non lo avrebbe fatto con opportunismo, ma con grande coraggio e rigore morale: un “libero pensatore”, libero di vagare nel mare delle idee cangianti… Nell’articolo del 30 agosto, per la verità, si mette anche in dubbio la tesi del Bossy, da me riportata come attendibile, non come certa, sull’opera di Bruno come spia in quel di Londra. Niente di sostanziale, insomma. Il 1° settembre, invece, il professor Ordine fa le pulci al libro di Anna Foa, in maniera un po’ accademica, sistemando più che altro alcune date. Al sottoscritto, forse perché indegno, sono riservate solo battutine, ma neppure una sola confutazione circostanziata: si parla di “crociata di Francesco Agnoli” che “propina invettive ai lettori del Foglio”. Un po’ di parole, insomma, che dovrebbero da sole, col loro suono e la loro evocatività, screditare l’idiota. Mi spiace: penso si potrebbe discutere in altro modo, con altro rispetto, almeno per i fatti, e con altro amore per la verità e l’educazione (come invece è accaduto col senatore Contestabile, sul Foglio). Mi permetto però di tornare su Bruno, per ribadire non solo che non fu un eroe puro, coerente e senza macchia, come già detto, ma soprattutto che non fu assolutamente uno scienziato moderno: su questo mi trovo in accordo con personaggi come Giovanni Reale, Dario Antiseri, Paolo Rossi, Cecilia Gatto Trocchi, A. Koyrè e molti altri. Proprio il Koyrè infatti, nel suo celebre “Dal mondo chiuso all’infinito universo”, afferma: “La concezione bruniana del mondo è vitalistica e magica: i suoi pianeti sono esseri animati in libero movimento attraverso lo spazio secondo una reciproca intesa come quelli di Platone o del Patrizi. Bruno non è assolutamente un pensatore moderno”. Il concetto è semplicissimo: per Bruno “natura est deus in rebus”, o, con altre parole, “Iddio tutto è in tutte le cose”, come avevano ben capito gli egizi, che adoravano il sole, la luna, ma anche i coccodrilli, le lucertole, i serpenti e le cipolle… (“Lo Spaccio”). Da una simile concezione, antica quanto la magia e l’animismo, nuova in nulla, scientifica ancor meno, scaturisce l’antichissima idea, presente anche nel “Timeo” platonico, dei pianeti e degli astri non come entità materiali, regolate e mosse secondo leggi fisiche, ma come “dei visibili”, “grandi animali”, “dei figli di dei”. Così la teoria di Copernico, “aurora” che ha aperto la strada a lui stesso, “sole de l’antiqua vera filosofia” (“Cena delle ceneri”), interessa al Nolano, unico a suo dire ad averla veramente compresa, solo perché gli permette di scorgere, nella Terra che si muove, un principio vitale, un'”anima propria” mossa da una vita divina, in perfetta coerenza con le dottrine astrologiche.


Va indietro rispetto a Copernico
Cosa vi è di scientifico, di moderno, nel credere a stelle e a pianeti animati e divini, capaci di conseguenza, evidentemente, di agire sull’arbitrio umano? Esattamente nulla. Bruno non avanza, ma retrocede terribilmente. Retrocede rispetto a Copernico, che aveva parlato di “macchina del mondo”, per eliminare, come scrive il Koyrè nell’introduzione al “De revolutione orbium caelestium” (Einaudi), l'”astro-biologia degli antichi”. Retrocede anche rispetto alla scuola francescana di Oxford, che secoli prima aveva iniziato a proporre, con Giovanni Buridano, l’innovativa dottrina dell'”impetus”, come possibile spiegazione della meccanica dei corpi celesti. Buridano, infatti, confutando l’insegnamento aristotelico e arabo al riguardo, aveva sostenuto che l’ininterrotto movimento delle sfere celesti non era dovuto a delle anime, e neppure alle intelligenze motrici, bensì a una forza, un’impetus iniziale, il cui permanente effetto era permesso dalla mancanza di resistenza del mezzo. Si era in qualche modo già vicini all’idea di forza fisica, di forza d’inerzia, capace di muovere i pianeti: per questo il Duhem riconduce “alla teorizzazione buridaniana dell’impetus la data d’inizio della scienza moderna, perché comportò l’abbandono della credenza nella natura divina delle potenze motrici dei cieli” (inutili, se esiste un Dio creatore). Analogamente lo Jammer, sempre a proposito dell’origine della scienza moderna, sottolinea l’importanza di Buridano, come “uno dei primi a ribellarsi alla concezione neoplatonica delle forze intese come enti divini” (mentre Newton sarebbe “colui che diede il colpo di grazia alla teoria delle forze astrologiche”; introduzione a Giovanni Buridano, “Il cielo e il mondo”, Rusconi). Anche le ricerche di Keplero si sarebbero mosse nella stessa direzione, per rinnegare l’idea di un modo animato, magico, “grande animale”, caratterizzato da pianeti divini: tutte teorie, ripeto, proprie del modo pagano e della magia rinascimentale, incompatibili con un approccio scientifico e matematico. Nel 1605, confutando implicitamente Bruno, morto da soli cinque anni, Keplero scriverà a Herwart von Hohenberg: “Sono molto occupato nello studio delle cause fisiche. Il mio scopo è dimostrare che la macchina celeste può essere paragonata non ad un organismo divino ma piuttosto ad un meccanismo d’orologeria… in quanto quasi tutti i suoi molteplici movimenti si compiono grazie a una sola forza magnetica, molto semplice, come nell’orologio tutti i moti (sono causati) da un semplice peso. Inoltre io dimostro come questa concezione fisica vada presentata per mezzo del calcolo e della geometria”. “Macchina”, “meccanismo”, non “organismo divino” né “grande animale”: quanto dista, da questo modo scientifico di vedere l’universo materiale, il vitalismo pampsichista e magico di Bruno? Francesco Agnoli

L’Eredità di un Filosofo – Giordano Bruno – L’uomo non è affatto il padrone del mondo

Un pensiero controcorrente che in qualche modo anticipava addirittura Darwin per l’evoluzione del corpo. Ora disponiamo di riedizioni molto accurate delle opere basate su studi profondi come quello di Nuccio Ordine.
Ce n’era abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo a Roma in Campo de’ Fiori il 17 febbraio del 1600. Aveva anticipato troppo i tempi, aveva detto verità che. solo oggi noi sentiamo familiari. Aveva messo in discussione la centralità dell’uomo nell’universo, si era spinto a negare la trascendenza di Dio. Dubitava che lo sguardo matematico degli scienziati fosse quello idoneo a comprendere la natura, e che lo sguardo teologico dei preti avvicinasse a Dio. Leggeva la filosofia in chiave comica e la commedia in chiave filosofica per relativizzare tutte le verità che pretendono l’assolutezza. Ai preti, a cui assegnava solo il compito di garantire l’ordine sociale con gli strumenti della fede, preferiva i maghi impegnati a reperire le costanti della natura (i vincoli) e quindi la sua conoscenza. Denunciava le violenze del cristianesimo perpetrate in America Latina dal quel “pirata” che era, a suo parere, Cristoforo Colombo, il quale barattava battesimi con oro e argento. Ce n’era abbastanza per tagliargli la lingua e bruciarlo vivo.
Sto parlando di Giordano Bruno (1548-1600) di cui, in occasione dell’anno bruniano, la Utet ha editato le Opere italiane in due volumi per complessive 1856 pagine, già apparse in Francia da Les Belles Lettres e in procinto di essere tradotte in tedesco, spagnolo, svedese, rumeno, giapponese e cinese. L’edizione italiana, che si avvale degli studi di Giovanni Aquilecchia, maestro per cinquant’anni di studi bruniani, è stata curata da Nuccio Ordine, autore di una magistrale, e per me entusiasmante, Introduzione di 200 pagine, che sono parte di un più ampio saggio che, col titolo: La soglia dell’ombra. Letteratura,filosofia e pittura in Giordano Bruno, è stato pubblicato da Marsilio in Italia e da Les Belles Lettres in Francia.
La prima opera in lingua italiana di Bruno è una commedia: Il candelaio, pubblicato a Parigi nel 1582. Ad essa seguirono sei dialoghi filosofici pubblicati a Londra tra il 1584 e il 1585. La commedia Il candelaio non fu ospitata dalla raccolta delle opere di Bruno curata da Giovanni Gentile, perché non ritenuta un’ opera filosofica. In realtà Gentile non aveva capito che l’intento, di Bruno era di destabilizzare i generi letterari e dimostrare che si poteva parlare comicamente di filosofia e filosoficamente della commedia, per relativizzare, tutte le verità credute assolute, a partire dall’ ordine cosmologico allora ipotizzato, che fungeva da supporto teologico per affermare la centralità dell’uomo nell’Universo e la sua destinazione” celeste. Bruno, che rifiutava la concezione geocentrica di Tolomeo, vuole liberare la terra dalla falsa immobilità e dai falsi principi di una filosofia teologizzante che, ponendo l’uomo al centro dell’universo ne fa il “dominatore e il possessore del mondo” come qualche anno dopo dirà Cartesio.
Ma a Bruno non basta superare Tolomeo, cosa che aveva già fatto Copernico e dopo di lui Galileo e Cartesio. Bruno vuole superare anche l’eliocentrismo copernicano perché, pur avendo ammesso la centralità del sole rispetto alla centralità della terra, Copernico, a parer di Bruno, rimaneva ancorato a una cosmologia tradizionale, chiusa e delimitata, senza approdare a un universo infinito, senza centro e senza limiti, popolato da innumerevoli mondi e difficilmente conciliabile con le esigenze della “ragione calculatoria” tanto cara agli scienziati del suo tempo. Così dicendo, Bruno si pone contro sia gli scienziati che ritengono la natura indagabile solo con strumenti matematici, sia i teologi che vedono sconvolta l’architettura dell’universo, secondo la quale Dio ha creato un mondo finito, con al centro l’uomo, dominatore della natura e al contempo così bisognoso di salvezza da richiedere la discesa in terra del figlio di Dio. Questa presa di posizione su entrambi i fronti consente a Bruno di smascherare quella sotterranea parentela che, al di là delle dispute, lega la tradizione cristiana all’agnosticismo scientifico. L’una e l’altro infatti condividono la persuasione che l’uomo, disponendo dell’anima come vuole la religione o della facoltà razionale come vuole la scienza é, tra gli enti di natura, l’ente privilegiato che può sottomettere a sé tutte le cose.
A questa enfatizzazione cartesiana del soggetto (Ego cogito) preparata dalla tradizione giudaico-cristiana (per la quale l’uomo è immagine di Dio. e, quindi nel diritto di dominare su tutte le cose), Giordano Bruno contrappone un percorso radicalmente diverso da quello che caratterizzerà per secoli il pensiero europeo. Non il primato dell’uomo, ma il primato degli equilibri sempre instabili e sempre da ricostruire tra tutti gli enti di natura che, al di fuori di ogni scala gerarchica) godono tutti di pari dignità, perché la più minuscola pulce è al centro dell’universo allo stesso titolo della più luminosa delle stelle.
Spezzare l’ordine gerarchico significa distruggere la scala dei valori che faceva da sfondo sia alla visione teologica sia a quella scientifica del mondo che, a parere di Bruno vanno sostituite dalla visione magica che non è potere sulla natura, ma scoperta dei vincoli con cui tutte le cose si incatenano, secondo il modello eracliteo dell’invisibile armonia”. Per questa concezione filosofica, antitetica sia alla scienza matematica che si alimenta della progettualità umana, sia alla religione che, se da un lato subordina l’uomo a Dio, non esita a considerarlo, fin dal giorno della sua cacciata dal paradiso terrestre, dominatore di tutte le cose, Giordano Bruno fu trascurato dagli scienziati del suo tempo che stavano inaugurando il sentiero che sarà poi percorso dal pensiero occidentale, e bruciato vivo a Roma, in Campo de’ Fiori, dalla Chiesa che allora, per dire la sua, disponeva di metodi più spicci. Ma oggi che il potere dell’uomo sulla natura inquieta l’uomo stesso, perché il suo potere di “fare” è enormemente superiore al suo potere di “prevedere” e di “governare” la propria storia, forse è opportuno un ritorno al pensiero di Bruno, per scorgervi, oltre all’anticipatore degli “infiniti mondi” contro il geocentrismo del suo tempo, colui che, proprio in forza degli “infiniti mondi” dubita che l’uomo possa essere pensato come il centro dell’universo e quindi in diritto di disporne secondo i modesti e al tempo stesso terribili schemi della sua acritica progettualità, perché alla legge del Tutto, a cui si volgeva la magia bruniana, impone la legge dell’uomo (occidentale) sul Tutto.
Ma chi è l’uomo per Giordano Bruno? Con un’anticipazione che potremmo dire “darwiniana” l’uomo, al pari di tutti gli animali, è deciso dalla sua conformazione corporea, e la sua, superiorità non è dovuta tanto all’anima, alla ragione, alla mente, ma alla forma del suo corpo. A differenza del primate più evoluto, l’uomo infatti ha la mano libera nel cammino, e ciò consente a tutto il suo corpo di liberarsi nella manipolazione del mondo. Questa manipolazione si chiama “lavoro”, in cui è la specificità dell’uomo e la sua differenza dall’animale, per cui non Adamo nel paradiso terrestre che oziava nella più assoluta incoscienza di sé, ma Adamo dopo il peccato originale che assume su di sé la “condanna” del lavoro (che a parere di Bruno è l’unica condizione per costruire cultura e civiltà) è la vera immagine dell’uomo. Non più impiegata come utensile la mano, che due secoli dopo Bruno, Kant definirà: “il cervello esterno dell’uomo”, è capace di gesti espressivi che sono negati agli animali, perché questi non disponendo di una mano libera, si trovano nell’ impossibilità di esplorare il mondo, con tutte le conseguenze-comportamentali e cognitive che, una volta acquisite grazie all’uso della mano, verranno messe in conto all’anima. Se non disponesse di una mano libera infatti, scrive Bruno: “L’uomo in luogo di camminare serperebbe, in luogo d’edificarsi palaggio si caverebbe un pertuggio, e non gli converrebbe la stanza, ma la buca”.
Nonostante questo depotenziamento dell’ origine dell’uomo,’ più parente dell’animale che di Dio, Giordano Bruno è un grande umanista che non cade nell’ errore in cui, due secoli dopo, sono caduti gli illuministi che, come vuole la denuncia di Rousseau: “Confondono l’uomo di natura con gli uomini, che hanno sotto gli occhi. Sanno assai bene cos’è un borghese di Londra e di Parigi, ma non ‘sapranno mai cos’è un uomo”. Di qui la condanna di Bruno ne La cena de le ceneri contro la spedizione di Cristoforo Colombo, contro una “conquista mascherata da scoperta”. Le popolazioni ameroinde, scrive Bruno, avevano una loro cultura, una loro lingua, una loro religione. Avevano insomma il diritto di vivere in pace secondo le loro leggi e i loro costumi. Ma la brama spregiudicata del profitto ha trasformato presunti marinai animati dal desiderio di conoscenza in vili pirati assetati di oro e argento che sulle loro navi, scrive Bruno ne Lo spaccio de la bestia trionfante, imbarcarono: “L’abominevole Avarizia, con la vile e precipitosa Mercatura, col disperato Piratismo, Predazione, Inganno, Usura e altre scelerate serve, ministre e circostanti di costoro”.
Bruno aveva capito che non basta celebrare l’uomo, come nell’età umanistica si faceva, per conoscere l’uomo. E non si può conoscere l’uomo se lo si pensa, come vuole la religione e la scienza “padrone e dominatore del mondo”. Meglio una filosofia che lo riconosce negli “infiniti mondi” e così lo relativizza, armonizzandolo con tutti gli enti di natura, su cui l’uomo non può esercitare il suo incontrastato dominio, ma di cui deve prendersi semplicemente cura. Perché la sorte dell’uomo non è disgiunta dalla sorte dell’ altro uomo e neppure dagli enti di natura, come l’acqua, l’aria, gli animali, le piante, la terra, verso cui, soprattutto oggi, abbiamo dei doveri che nessuna morale, ad eccezione di quella bruniana, ha finora contemplato.

“Battibecchi su Giordano Bruno”

Caro direttore,
leggo nel numero di sabato 6 settembre del suo settimanale un articolo di Gerardo Picardo su Giordano Bruno che sembra scritto cent’anni fa, al tempo della costruzione del monumento in Campo de’ Fiori voluta dalle élite liberalmassoniche. La migliore ricerca storica ha fatto da tempo giustizia dell’immagine di Bruno “martire del libero pensiero”, mettendo l’accento sul carattere di mago rinascimentale del nolano, volto a costruire una società in radicale antitesi con quella cattolica; sulla sua qualità di frate apostata e bestemmiatore, che negava con pervicacia tutti i principali dogmi di fede; nonché sul carattere tutt’altro che scientifico, anzi magico-occultistico e quindi decisamente regressivo del suo pensiero. Nell’articolo di Picardo si legge tra l’altro, a conferma dell’acribia dell’autore, che Bruno “anticipò il pensiero eliocentrico di Copernico”, quando qualsiasi liceale sa che questi visse un secolo prima e che fu sostenitore di una visione ordinata del cosmo che era l’antitesi di quella insegnata dal nolano e contestata oggi dalla scienza più avanzata. Infine il processo a Bruno fu un processo interno alla Chiesa e si svolse secondo tutte le garanzie giuridiche, come fu messo in luce dal suo massimo studioso, Luigi Firpo, non certo accusabile di parzialità filo cattolica, e come hanno recentemente ribadito Anna Foa e Paolo Mieli, seri studiosi anche loro non certo cattolici. Nel box che accompagna l’articolo viene poi stroncato un volume di Rita Pomponio in difesa di Papa Clemente VIII Aldobrandini (Il Papa che bruciò Giordano Bruno). Nel box si legge che i I papa “accese …iI rogo”, cosa alquanto strana in quanto è noto che la condanna venne eseguita dall’autorità civile, e che “il fumo di quella disumana pira fu l’ultimo, coerente atto di pensiero dell’ex frate domenicano, facendo cadere il papa Aldobrandini nella vergogna della storia”. Ancora si legge che “l’autrice ha raccolto il peggio dei riscontri processuali e della letteratura scandalistica anti-bruniana”. Peccato che la correttezza del processo, il suo carattere interno alla Chiesa e la grandezza politica del pontificato di Clemente VIII, che tra l’altro recuperò alla Chiesa il ducato di Ferrara, siano riconosciuti da tutti gli studiosi citati, che di scandalistico mi pare non abbiano proprio nulla.
In conclusione un articolo sbagliato, che dispiace leggere in un settimanale che era nato proponendosi’ come alternativo al “politicamente corretto”. Purtroppo il fanatismo laicista non conosce frontiere.

Franco Damiani

Caro Direttore,
il profilo di Giordano Bruno proposto sul numero 36 del nostro “Dom” desta più di una perplessità. Non so se – come dice l’autore dell’articolo con accenti dannunziani -la vita del nolano “genio assoluto e vita ribelle” sia stata “tragicamente bella” o se sia più corretto individuare nel Bruno un caso di megalomania (è il giudizio che dà il traduttore in inglese de La cena de le ceneri, lo storico della scienza Stanley Jaki).
In ogni caso, alla luce degli studi del laicissimo Luigi Firpo e di quelli più recenti di Anna Foa – non certo rubricabili sotto la voce “letteratura scandalistica anti-bruniana” – riterrei ormai indifendibile il ritratto di un Bruno eroico e indomabile, assertore della supremazia del vero speculativo sui dogmi delle religioni positive; un mito al cui successo contribuirono, tra gli altri, liberaloni alla Francesco De Sanctis e la biografia di Vincenzo Spampinato, patrocinata nel secolo scorso da Giovanni Gentile. Nell’articolo si afferma che Giordano Bruno “preferì non occuparsi di fede e teologia”. Ma non si tratta, forse, della stessa persona oggi contesa dall’occultismo di mezzo mondo che, all’ epoca, si proclamò sacerdote dell’antico culto ermetico? Non è forse sua la celebre descrizione di Dio “sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in ogni luogo”?
Difficilmente difendibile, infine, la tesi secondo cui il Bruno” anticipò il pensiero eliocentrico di Niccolò Copernico”. Non tanto perché quest’ultimo, con Galilei, KepIero, Einstein e Schlick, era giustamente convinto a differenza di Bruno che la massa dell’universo fosse finita, ma per il fatto che Copernico morì nel 1543, anno di pubblicazione del De revolutionibus orbium celestium, mentre Giordano Bruno nacque giusto cinque anni dopo…

Maurizio Brunetti

Strano destino, quello di Bruno. Per lui, Manfurio, figura del pedante, è sempre dietro l’angolo. Riguardo all’anacronismo, sono costretto a citare il mio libro Oltre il Tempio. Sul cristianesimo nella filosofia di Giordano Bruno da Nola (Ed. Sassoscritto, Firenze 2003, giunto ormai alla seconda edizione e materiale di studio per le Università). A p. 85 del testo si dice: “La concezione dell’infinito bruniano rovesciò la teoria geocentrica della Chiesa, sviluppando il pensiero eliocentrico di Copernico”. È evidente che nell’articolo cl sia stato un refuso, di cui mi scuso con i lettori. Vi si dice anche come il nolano addebiti a Copernico il non aver tratto tutte le possibili conseguenze della sua intuizione. Salva la “dottrina”, un altro punto. Il sig. Brunetti cita il prof. Stanley L. Jaki. Pe il tono dei contributi di quest’ultimo su Bruno, si può vedere il n. 299 (2000) di “Cristianità” . Essendo Jaki un prete, legge Bruno come “megalomane” e altro di irriferibile, a mio avviso nel sottanone del tradizionalismo cattolico, che ha già passato molta legna sotto il rogo del Filosofo. E non ha chiesto perdono. L’umanità dovrebbe essere il primo sacramento della Vita.
Per quel che riguarda infine le interpretazioni di Bruno come mago, massone e via dicendo, preferisco, studiando e insegnando Bruno da anni, l’ermeneutica di “liberaIoni” come Giovanni Gentile, che considerava Bruno quello che il nolano fu e volle essere: un Filosofo. Niente altro che questo. L’invito che rivolgo è quello di sempre: andare alle Fonti, leggere le stesse opere di Bruno piuttosto che le sintesi da catechismo di maniera che ne hanno sempre affiancato e distorto la comprensione.
Questioni di scelte. Bruno in realtà credeva -lo ribadisco – alla Filosofia come sola verità, mentre il campo della religione riguardava per lui solo la virtù morale. Ha scritto un ottimo teologo, Jurgen Moltmann, sulla ricerca di Bruno: “La religione del libero pensiero non vuole vendetta, ma pretende tolleranza: questa fede non dispone di profeti, ma solo di pensatori. Se ne cerchi il tempio trovi l’universo, se cerchi asilo lo trovi nel sapere umano”. L’anti­pedante filosofo nolano restò″ allergico” alle questioni religiose. Scrisse che i preti e la Chiesa “sporcano il mondo”. Si rifece piuttosto alla “prisca sapientia”, quella dell’Egitto e di Roma, ma non fu né stregone né maestro di occultismo. Anzi, come ricorderanno i nostri lettori, fu fatto imprigionare a Venezia, dopo delazione del mendace Mocenigo, perché insegnò solo a questo bigotto l’arte della memoria, non la magia. La libertà del pensiero proclamata e vissuta da Bruno fino alla morte è un fatto storico, e la storia non indietreggia. Si vedano Aquilecchia, Ciliberto, Masullo e tutta la letteratura anti-pedante e non scandalistica sul Filosofo. Grazie per il confronto. È confermato che il nolano fa ancora discutere.

Gerardo Picardo